Malasanità

Niente aumenti agli specializzandi 1992-2006

La Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n.20006 del 19/07/2024) mette la parola fine alla annosa questione:

L’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici compresi tra il 1992/1993 e il 2005/2006 non è soggetto, né ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita, né all’adeguamento triennale previsto dall’art.6, comma 1, D. Lgs. n.257/1991; ciò per effetto del blocco di tali aggiornamenti previsto, con effetti convergenti e senza soluzione di continuità, dall’art.7, comma 5, D.L. n.384/1992, convertito nella L. n.438/1992, come interpretato dall’art.1, comma 33, L. n. 549/1995; dall’art. 3, comma 36, L. n. 537/1993; dall’art. 1, comma 66, L. n. 662/1996; dall’art. 32, comma 12, L. n. 449/1997; dall’art. 22 L. n. 488/1999; dall’art. 36 L. n. 289/2002.

      La sentenza

Conferimento dell’incarico di Direttore di Struttura Complessa non motviato.

Anche l’incarico di Direttore di Struttura Complessa deve essere motivato in relazione ai vari curriculum vitae presentati; in mancanza l’escluso ha diritto al risarcimento del danno per perdita di chance. Corte di Cassazione, ordinanza 15 gennaio 2024 n.1488.

La sentenza

Il nuovo CCNL dirigenza sanitaria 2019/2021

Molte le novità riguardanti l’orario di lavoro. L’art.27 pone un tetto al lavoro straordinario che viene retribuito mediante la retribuzione di risultato. Tale tetto può essere superato solo concordanto previamente il ricorso alle prestazioni aggiuntive in regime di intramoenia. Ulteriore lavoro straordinario non può essere oggetto di programmazione e costituire organizzazione ordinaria del lavoro è dà diritto al riposo compensativo da recuperare entro l’anno successivo. In mancanza di recupero il lavoro straordinario deve essere retrituito a parte e ciò si ricava dalla abrogazione dell’ulitmo periodo del terzo comma dell’art.65 del CCNL 5/12/1996. 

Viene confermato il diritto dei dirigenti con più di cinque anni di anzianità di servizio e superamento del periodo di prova ad essere valutati entro tempi certi e ad avere assegnato un incarico superiore, almeno di “consulenza, studio, ricerca, ispezione, verifica e controllo“, servizio di guardia, pronta disponibilità. Eliminate tutte le clausole “di norma” e “di regola“.

Ecco il testo

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Risarcimento del danno per mancata graduazione delle funzioni

Il ritardo nella graduazione delle funzioni e nella pesatura degli incarichi è inadempimento contrattuale e causa un danno risarcibile a titolo di perdita di chance, liquidabile secondo equità in base alla retribuzione di posizione, quota aziendale, tardivamente corrisposta.

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L’azienda sanitaria risponde per il demansionamento operato dal Primario

Corte di Cassazione: ordinanza n.1351 del 12 gennaio 2024

In tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno – avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore – e determinarne l’entità, anche in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.  L’autonomia organizzativa di cui può godere il responsabile di struttura complessa rispetto all’Azienda sanitaria, infatti, trova comunque un evidente limite nel rispetto dell’obbligo generale di piena osservanza delle regole che disciplinano il rapporto di lavoro e quindi nell’obbligo di assegnazione del lavoratore stesso alle mansioni di sua competenza, evitando che la violazione di quest’ultimo obbligo venga a ledere il diritto del lavoratore a non vedere compromessa la propria qualificazione professionale.
Dell’osservanza di tale obbligazione l’Azienda sanitaria viene a rispondere quale controparte contrattuale del lavoratore, senza poter conseguire esonero della propria responsabilità – che costituisce responsabilità da inadempimento – dalla condotta dei preposti alla struttura complessa, sul cui operato l’Azienda stessa è comunque tenuta a vigilare, assumendo le necessarie iniziative quando l’esercizio del potere organizzativo del responsabile si traduca nella illegittima lesione dei diritti dei lavoratori” (caso di demansionamento operato da un Direttore di Struttura Complessa in danno di un dirigente medico della struttura; l’azienda sanitaria si difendeva dicendo di “non sapere“).

L’ordinanza

La maternità surrogata diventa reato punibile se commesso dal cittadino all’estero

L’art.12, comma 6, della L. 19 febbraio 2004 n.40 è adesso il seguente:

6. Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il
cittadino italiano è punito secondo la legge italiana “.

Non si tratta comunue di “reato universale” perchè lo straniero resta non punibile.  

L’assicurazione del medico strutturato. C. Cost. n.177/2024

Corte Costituzionale, ordinanza 7 norembre 2024 n.177

Il medico cosiddetto “strutturato” non e’ affatto obbligato ad assicurarsi per i danni eventualmente arrecati nell’esercizio della professione, essendo i relativi rischi coperti dall’assicurazione, o analoga misura, imposta alla struttura sanitaria per cui il medico opera (art. 10, comma 1, terzo periodo, in relazione all’art. 7, comma 3, della legge n. 24 del 2017); che l’obbligo assicurativo posto a carico dei medici “strutturati” dall’art. 10, comma 3, della legge n. 24 del 2017, ha invece un diverso oggetto: tali professionisti devono, infatti, stipulare una polizza di assicurazione per colpa grave che garantisca l’efficacia della successiva azione di rivalsa esperita dalla struttura sanitaria che abbia (gia’) soddisfatto le pretese risarcitorie dei terzi, secondo quanto previsto dall’art. 9 della medesima legge (sentenza n. 182 del 2023). L’art. 12 della legge n. 24 del 2017 consente, si’, al danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’assicuratore, ma cio’ solo quando si tratti dell’impresa che assicura la struttura sanitaria o il medico libero professionista: non, invece, nei confronti dell’assicuratore del medico “strutturato”, per l’ovvia ragione che la polizza che quest’ultimo e’ obbligato a stipulare copre debiti del medico legati ad azioni, quali quelle di rivalsa, «che si collocano “a valle” dell’esperimento (vittorioso) dell’azione risarcitoria da parte del danneggiato» (ancora, sentenza n. 182 del 2023).

 

LA CORTE COSTITUZIONALE E IL “PAYBACK”

L’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015 stabilisce un tetto alla spesa regionale per i dispositivi medici. Se la regione supera il tetto, le imprese che forniscono i dispositivi ai Servizi sanitari regionali sono tenute a contribuire parzialmente al ripiano dello sforamento. Per gli anni dal 2015 al 2018 è espressamente prevista la procedura di determinazione dell’ammontare del ripiano a carico delle singole imprese (comma 9-bis).
L’art. 8 del decreto legge n. 34 del 2023 ha istituito un fondo statale da assegnare pro-quota alle regioni che nel menzionato periodo abbiano superato il tetto di spesa. Esse hanno inoltre consentito alle imprese fornitrici dei dispositivi di versare solo il 48 per cento della rispettiva quota di ripiano, a condizione che rinunciassero a contestare in giudizio i provvedimenti relativi all’obbligo di pagamento.
La Corte si è occupata dapprima delle disposizioni del 2023 e, con sentenza n. 139, le ha dichiarate incostituzionali nella parte in cui condizionavano la riduzione dell’onere a carico delle imprese alla rinuncia, da parte delle stesse, al contenzioso.
La conseguenza è che a tutte le imprese fornitrici è ora riconosciuta la riduzione dei rispettivi pagamenti al 48 per cento.
Con la successiva sentenza n. 140 la Corte, su rimessione del TAR Lazio, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015, quanto al periodo 2015-2018.
La Corte ha precisato che, in relazione a tale periodo, il legislatore ha dettato una disciplina apposita per il ripiano dello sforamento dei tetti di spesa, e le regioni, con propri provvedimenti, hanno richiesto alle imprese le somme da esse dovute.
La sentenza ha rilevato che il payback presenta di per sé diverse criticità, ma non risulta irragionevole in riferimento all’art. 41 Cost., quanto al periodo 2015-2018. Esso, infatti, pone a carico delle imprese per tale arco temporale un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, al fine di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute in una situazione economico finanziaria di grave difficoltà.
Il meccanismo non risulta neppure sproporzionato, alla luce della significativa riduzione al 48 per cento dell’importo originariamente posto a carico delle imprese, riduzione ora riconosciuta incondizionatamente a tutte le aziende in virtù della citata sentenza n. 139.
Inoltre, la Corte ha osservato che la disposizione censurata non contrasta con la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. per l’imposizione di prestazioni patrimoniali.
Infine, la sentenza 140 ha precisato che la disposizione censurata non ha natura retroattiva, in quanto il comma 9-bis dell’art. 9-ter, introdotto nel 2022, si è limitato a rendere operativo l’obbligo di ripiano a carico delle imprese fornitrici, senza influire, in modo costituzionalmente insostenibile, sull’affidamento che le parti
private riponevano nel mantenimento del prezzo di vendita dei dispositivi medici.

La sentenza n.139/2024

La sentenza n.140/2024

 

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La retribuzione di posizione aziendale non può essere diminuita

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza del 9/7/2024 n.18697

Essa deve essere pari almeno alla “minima” contrattuale e, ove maggiore, può essere ridotta solo in caso di incapienza del fondo o di valutazione negativa del dirigente.

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Tutti i dirigenti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri!

Il Tribunale di Catania (sentenza n.3180 del 10/06/2024) condanna ancora l'Azienda Sanitaria Provinciale per l'assegnazione arbitraria degli incarichi dirigenziali

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Diritto alla pausa dopo 6 ore di lavoro (ed al buono pasto)

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ordinanza 10/09/2024 n.24271

in tema di pubblico impiego privatizzato l’attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, e diretta a aconciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane dei dipendenti, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all’effettuazione di una pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato“.

La sentenza

Nuovo Accordo Integrativo Regionale Sicilia

Il nuovo Accordo Integrativo Regionale della Sicilia per gli specialisti ambulatoriali interni, dei veterinari  e delle professioni sanitarie

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Senza intento persecutorio non c’è mobbing

Al fine di rintracciare una responsabilità ex art. 2087
cod. civ. in capo al datore di lavoro, quale quella nello specifico dedotta, non è necessaria, come ad
esempio si richiede nel caso del mobbing, la presenza di un “unificante comportamento vessatorio”,
ma è sufficiente l’adozione di comportamenti, anche colposi, che possano ledere la personalità morale
del lavoratore, come l’adozione di condizioni di lavoro stressogene o non rispettose dei principi
ergonomici.

Il lavoratore che agisce per ottenere il risarcimento dei danni causati
dall’espletamento dell’attività lavorativa non ha l’onere di dimostrare le specifiche omissioni datoriali
nella predisposizione delle misure di sicurezza. Al contrario, è onere del datore di lavoro provare di
avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

      La sentenza