Archivio per Categoria Mobbing, responsabilità dirigenziale e disciplinare, licenziamento

L’azienda sanitaria risponde per il demansionamento operato dal Primario

Corte di Cassazione: ordinanza n.1351 del 12 gennaio 2024

In tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del relativo danno – avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore – e determinarne l’entità, anche in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.  L’autonomia organizzativa di cui può godere il responsabile di struttura complessa rispetto all’Azienda sanitaria, infatti, trova comunque un evidente limite nel rispetto dell’obbligo generale di piena osservanza delle regole che disciplinano il rapporto di lavoro e quindi nell’obbligo di assegnazione del lavoratore stesso alle mansioni di sua competenza, evitando che la violazione di quest’ultimo obbligo venga a ledere il diritto del lavoratore a non vedere compromessa la propria qualificazione professionale.
Dell’osservanza di tale obbligazione l’Azienda sanitaria viene a rispondere quale controparte contrattuale del lavoratore, senza poter conseguire esonero della propria responsabilità – che costituisce responsabilità da inadempimento – dalla condotta dei preposti alla struttura complessa, sul cui operato l’Azienda stessa è comunque tenuta a vigilare, assumendo le necessarie iniziative quando l’esercizio del potere organizzativo del responsabile si traduca nella illegittima lesione dei diritti dei lavoratori” (caso di demansionamento operato da un Direttore di Struttura Complessa in danno di un dirigente medico della struttura; l’azienda sanitaria si difendeva dicendo di “non sapere“).

L’ordinanza

Senza intento persecutorio non c’è mobbing

Ma vi è ugualmente una responsabilità ex art. 2087 cod. civ. in capo al datore di lavoro. Infatti, non è necessaria, come ad esempio si richiede nel caso del mobbing, la presenza di un “unificante comportamento vessatorio”, ma è sufficiente l’adozione di comportamenti, anche colposi, che possano ledere la personalità morale del lavoratore, come l’adozione di condizioni di lavoro stressogene o non rispettose dei principi ergonomici.

Il lavoratore che agisce per ottenere il risarcimento dei danni causati dall’espletamento dell’attività lavorativa non ha l’onere di dimostrare le specifiche omissioni datoriali nella predisposizione delle misure di sicurezza. Al contrario, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

La sentenza

Niente differenze retributive al sostituto del Direttore di Struttura. Corte di Cassazione Civile, Sez. Lavoro, sentenza 3 settembre 2018 n.21565

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZ. LAVORO, SENTENZA 3 SETTEMBRE 2018 N.21565

La Corte è contraria alle sentenze di merito più permissive: no alle mansioni superiori nel caso di svolgimento di incarico di sostituzione di dirigente di struttura semplice o complessa protrattosi oltre il termine legale: il ruolo dirigenziale è unico e le funzioni sono equivalenti.

Differenze tra qualifica D e Ds. Corte di Cassazione Sez. Lavoro 20 febbraio 2020 N.4386

Sulle differenze tra qualifica D e Ds in termin di responsabilità per i risultati della struttura e ampio margine di discrezionalità.

       La sentenza

Demansionamento del dirigente medico

Tribunale di Catania, sentenza del 30/10/2019 n.23255

Il Tribunale sanziona il comportamento del Primario e della Azienda Sanitaria per aver estromesso il dirigente medico dalla attività operatoria di alta specializzazione, condanndo la seconda al risarcimento del danno nella misura di € 1.000,00 mensili e, in tutto, per € 48.400,00.

La sentenza

I requisiti del mobbing. Cassazione Civile, sentenza 1° marzo 2012 n.3187

Per mobbing si deve intendere una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. E si è precisato che ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti:
a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;
d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

      La sentenza

Onere della prova del mobbing. Cassazione Sez. Lavoro, sentenza 10 ottobre 2012 n.18927

“Nel rito del lavoro, il principio dispositivo deve essere contemperato con quello della ricerca della verità materiale, con l’utilizzazione da parte del giudice anche di poteri officiosi oltre che della prova per presunzioni, alla quale, specialmente in casi come quello in oggetto, va attribuito precipuo rilievo”.

       La sentenza

Scusabilità della infrazione disciplinare Cassazione Sez. Lavoro, sentenza 12 luglio 2012 n.11798

Non sono sanzionabili disciplinarmente i comportamenti del lavoratore causati dal suo stato di precario equilibrio psicologico.
(Nel caso in specie il lavoratore, affetto da disturbi di ansia e di adattamento, aveva omesso di comunicare la prosecuzione dello stato di malattia).

La sentenza