Archivio per Categoria Mobbing, responsabilità dirigenziale e disciplinare, licenziamento

Senza intento persecutorio non c’è mobbing

Al fine di rintracciare una responsabilità ex art. 2087
cod. civ. in capo al datore di lavoro, quale quella nello specifico dedotta, non è necessaria, come ad
esempio si richiede nel caso del mobbing, la presenza di un “unificante comportamento vessatorio”,
ma è sufficiente l’adozione di comportamenti, anche colposi, che possano ledere la personalità morale
del lavoratore, come l’adozione di condizioni di lavoro stressogene o non rispettose dei principi
ergonomici.

Il lavoratore che agisce per ottenere il risarcimento dei danni causati
dall’espletamento dell’attività lavorativa non ha l’onere di dimostrare le specifiche omissioni datoriali
nella predisposizione delle misure di sicurezza. Al contrario, è onere del datore di lavoro provare di
avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

      La sentenza

Niente differenze retributive al sostituto del Direttore di Struttura. Corte di Cassazione Civile, Sez. Lavoro, sentenza 3 settembre 2018 n.21565

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZ. LAVORO, SENTENZA 3 SETTEMBRE 2018 N.21565

La Corte è contraria alle sentenze di merito più permissive: no alle mansioni superiori nel caso di svolgimento di incarico di sostituzione di dirigente di struttura semplice o complessa protrattosi oltre il termine legale: il ruolo dirigenziale è unico e le funzioni sono equivalenti.

Differenze tra qualifica D e Ds. Corte di Cassazione Sez. Lavoro 20 febbraio 2020 N.4386

Sulle differenze tra qualifica D e Ds in termin di responsabilità per i risultati della struttura e ampio margine di discrezionalità.

       La sentenza

I requisiti del mobbing. Cassazione Civile, sentenza 1° marzo 2012 n.3187

Per mobbing si deve intendere una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. E si è precisato che ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti:
a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;
d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

      La sentenza

Onere della prova del mobbing. Cassazione Sez. Lavoro, sentenza 10 ottobre 2012 n.18927

“Nel rito del lavoro, il principio dispositivo deve essere contemperato con quello della ricerca della verità materiale, con l’utilizzazione da parte del giudice anche di poteri officiosi oltre che della prova per presunzioni, alla quale, specialmente in casi come quello in oggetto, va attribuito precipuo rilievo”.

       La sentenza

Scusabilità della infrazione disciplinare Cassazione Sez. Lavoro, sentenza 12 luglio 2012 n.11798

Non sono sanzionabili disciplinarmente i comportamenti del lavoratore causati dal suo stato di precario equilibrio psicologico.
(Nel caso in specie il lavoratore, affetto da disturbi di ansia e di adattamento, aveva omesso di comunicare la prosecuzione dello stato di malattia).

La sentenza

Tolleranza del datore di lavoro e licenziamento. Cassazione Civile, sentenza 11/05/2010 n.11342

Se il datore di lavoro tollera per apprezzabile lasso di tempo le infrazioni del dipendente, non può poi intimare il licenziamento.

La sentenza

Forma e termine di contestazione del licenziamento. Corte di Cassazione SS.UU., sentenza 14/04/2010 n.8830

Per la contestazione del licenziamento illegittimo è sufficiente che la lettera raccomandata sia stata spedita entro il termine di sessanta giorni (e non anche ricevuta).

La sentenza