MODIFICHE AL PIANO REGIONALE DI RIORGANIZZAZIONE DELLA RETE DELLE STRUTTURE PRIVATE ACCREDITATE DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO:
LA REGIONE SICILIANA APPROVA IL “Piano regionale di riorganizzazione della rete delle strutture private accreditate di diagnostica di laboratorio”
Il link alla GURS:
IL PRECEDENTE DECRETO 17 maggio 2001.
“Determinazione dei criteri in ordine alle modalità di aggregazione di strutture che erogano prestazioni specialistiche ambulatoriali di laboratorio.”
CIRCOLARE DELL’UFFICIO LEGISLATIVO E LEGALE DELLA PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIANA SULLA POSSIBILITA’ DI GESTIRE IL CONVENZIONAMENTO, ORA ACCREDITAMENTO, IN FORMA SOCIETARIA.
Il testo:
Pubblichiamo l’ordinanza del Consiglio di Stato n.1340/2008 relativa al soggetto obbligato al pagamento delle rette di degenza nelle strutture sanitarie:
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso in appello n.r.g.2602/2004, proposto dal
Comune di Cremona, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Edoardo Boccalini ed elettivamente domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato;
contro
– Istituto Ospedaliero di Sospiro, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Paolo Achille Mirri e Vittorio Biagetti ed elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio di quest’ultimo, Via A. Bertoloni, 35;
e contro
ASL della Provincia di Cremona, in persona del Direttore Generale pro tempore Andrea Belloli, rappresentata e difesa dall’avv. Rocco Mangia e dall’avv. Enrico Romanelli ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, Via G. Cesare, 14/A;
e contro
Azienda Ospedaliera di Crema, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sezione staccata di Brescia, n. 1688/2003 dell’11 dicembre 2003;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Istituto Ospedaliero di Sospiro, e della ASL della Provincia di Cremona;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 15 gennaio 2008, il consigliere Giuseppe Severini ed uditi, altresì, gli avvocati Boccalini, Biagetti e Pafundi, quest’ultimo per delega dell’Avv. Mangi, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
L’impugnata sentenza del Tribunale amministrativo regionale si è pronunciata in ordine al recupero di rette di degenza per un ricovero di un soggetto affetto da disfunzionalità psichica presso le strutture dell’Istituto ospedaliero di Sospiro, domandato dall’Istituto medesimo a figure soggettive del Sistema sanitario nazionale.
In tale contesto, la sentenza qualificava le spese in questione come socio-assitenziali e dunque di competenza del Comune di residenza dell’assistito.
L’appellante Comune di Cremona afferma tra l’altro di non essere stato avvisato, benché costituito, della fissazione dell’udienza di merito davanti al Tribunale amministrativo.
DIRITTO
1. La questione di merito su cui si appunta la controversia concerne, in sostanza, la giusta identificazione del soggetto pubblico obbligato alla rifusione di queste spese di ricovero; identificazione da fare in ragione della natura delle prestazioni effettivamente rese, per cui se queste sono da qualificare sanitarie – vale a dire di cura – l’obbligato è il Servizio sanitario nazionale attraverso i suoi enti e organi periferici; se invece sono da qualificaresocio-assistenziali – vale a dire di conservazione – l’obbligato è il Comune di residenza all’epoca del ricovero.
Il confine giuridico tra le due categorie è incerto, e questa incertezza in astratto è foriera nei casi singoli di difficili questioni interpretative, in concreto aggravate dalla circostanza che, in punto di fatto, non infrequente è il carattere misto della prestazione, o delle prestazioni, effettuate in favore del singolo soggetto nell’arco temporale – spesso assai lungo – della sua degenza: tanto più che talvolta, come è normale, queste prestazioni si mescolano a prestazioni sanitarie comuni e non già specifiche della malattia mentale. Della difficoltà di queste questioni classificatorie sono, ad es., sintomatiche Cass., I, 20 novembre 1996, n. 10150 o Cons. Stato, V, 31 luglio 2006, n. 4697, che pur procedono alla individuazione del quadro normativo sulla base di un’attenta quanto non semplice ricostruzione delle fonti sostanziali della materia.
In effetti, per quanto può ora rilevare circa questo malcerto confine giuridico, si può tendenzialmente dire che alle prestazioni sanitarie sono assimilati gli interventi di tipo misto in cui è prevalente la dimensione terapeutica. Quanto a fonti primarie, tale infatti è il criterio di ripartizione di queste spese oggi vigente in virtù dell’art. 30 l. 27 dicembre 1983, n. 730 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 1984) secondo il quale “[…] Sono a carico del fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali […]). In questo senso volge anche la legislazione regionale della Lombardia (dove ha sede l’Istituto Ospedaliero di Sospiro) sulle attività assistenziali, che infatti mette a carico dei Comuni queste attività (art. 1, 61 e 63 l.r. Lombardia 7 gennaio 1986, 1; art. 4 l.r. Lombardia 1 gennaio 2000, 1).
Quanto a fonti secondarie, è tendenzialmente questa anche la ripartizione fatta dall’art. 6 d.P.C.M. 8 agosto 1985 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome in materia di attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali, ai sensi dell’art. 5 della legge 23 dicembre 1978, n. 833), il cui art. 1 qualifica “attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali” di cui all’art. 30 l. n. 730 del 1983“le attività che richiedono personale e tipologie di intervento propri dei servizi socio-assistenziali, purché siano dirette immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino in interventi a sostegno dell’attività sanitaria di prevenzione, cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo, in assenza dei quali l’attività sanitaria non può svolgersi o produrre effetti”; il cui art. 2 esclude da queste attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali “le attività direttamente ed esclusivamente socio-assistenziali, comunque estrinsecatisi, anche se indirettamente finalizzate alla tutela della salute del cittadino”, tra cui“l’assistenza economica in denaro o in natura e l’assistenza domestica, le comunità alloggio, le strutture diurne socio-formative, i corsi di formazione professionale, gli interventi per l’inserimento e il reinserimento lavorativo, i centri di aggregazione e di incontro diurni, i soggiorni estivi, i ricoveri in strutture protette extra-ospedaliere meramente sostitutivi, sia pure temporaneamente, dell’assistenza familiare”; e il cui art. 6 afferma che rientrano tra le attività socio-assistenziali di rilievo sanitario “i ricoveri in strutture protette, comunque denominate, sempre che le stesse svolgano le attività di cui all’art. 1. Le prestazioni in esse erogate devono essere dirette, in via esclusiva o prevalente: alla riabilitazione o alla rieducazione funzionale degli handicappati e dei disabili, nell’ambito degli interventi previsti dall’art. 26 della richiamata l. n. 833 del 1978; alla cura e al recupero fisico-psichico dei malati mentali, ai sensi dell’art. 64 della l. n. 833 del 1978, purché le suddette prestazioni siano integrate con quelle dei servizi psichiatrici territoriali; alla cura e/o al recupero fisico-psichico dei tossicodipendenti […]; alla cura degli anziani […]. Nei casi in cui non sia possibile, motivatamente, disgiungere l’intervento sanitario da quello socio-assistenziale, le regioni possono, nell’ambito delle disponibilità finanziarie assicurate dal Fondo sanitario nazionale, avvalersi mediante convenzione di istituzioni pubbliche o, in assenza, di istituzioni private. In questi casi le regioni possono prevedere che l’onere sia forfettariamente posto a carico, in misura percentuale, del Fondo sanitario nazionale o degli enti tenuti all’assistenza sociale in proporzione all’incidenza rispettivamente della tutela sanitaria e della tutela assistenziale, con eventuale partecipazione da parte dei cittadini. […]”.
In un ordine non dissimile si muove la classificazione fatta dall’art. 3 d.P.C.M. 14 febbraio 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie), che distingue le “prestazioni sanitarie a rilevanza sociale” dalle “prestazioni sociali a rilevanza sanitaria”, per le prime – “di competenza delle aziende unità sanitarie locali ed a carico delle stesse” – intendendo “le prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite, contribuendo, tenuto conto delle componenti ambientali, alla partecipazione alla vita sociale e alla espressione personale”; e per le seconde – “di competenza dei comuni” – intendendo “le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute” che si esplicano attraverso, tra l’altro “c) gli interventi di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire l’autonomia e la permanenza nel proprio domicilio di persone non autosufficienti; e d) gli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell’autonomia, non assistibili a domicilio”.
In effetti, l’incertezza di qualificazione e il carattere, spesso misto, della prestazione erogata sono alla base del contenzioso sul rimborso, in cui si iscrive anche il caso qui in esame. È da dire a questo proposito che sarebbe auspicabile una miglior regolazione del confine tra le due categorie fatta a livello legislativo, quasi un’actio finium regundorum, per modo che siano ridotte le disparità interpretative e abbassato il livello di litigiosità.
Anche nel caso presente, dunque, la questione di merito si pone come una questione classificatoria del genere ora descritto. Vi è però una questione in rito che la precede e che concerne in radice l’esistenza del potere del giudice amministrativo di pronunciarsi sulla controversia.
Prima, infatti, di affrontare il merito, la Sezione ritiene che occorra procedere esplicitamente alla verifica, anche d’ufficio, della giurisdizione, dopo aver rilevato che – per le ragioni appena dette – si è in materia di pubblici servizi (per quanto non solo di servizio sanitario bensì, anche o alternativamente, di servizio socio-assistenziale); e dal punto di vista formale che, quanto a causa petendi, a petitum e a rappresentazione della domanda giudiziale, nella specie non si fa questione di contestazione di provvedimenti autoritativi e di loro annullamento, bensì solo di identificazione del soggetto passivo di questa obbligazione pecuniaria e di sostanziale condanna al pagamento di quanto dovuto.
Si pone dunque all’esame della Sezione la questione preliminare se la controversia in esame – che evidentemente esula dalla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo – sia da ricondurre ad una delle tassative ipotesi di giurisdizione amministrativa esclusiva.
La Sezione, prendendo in considerazione questa questione di base, rileva la concreta possibilità di un contrasto giurisprudenziale – peraltro già ripetutamente emerso nella giurisprudenza dei tribunali amministrativi regionali – tra una tesi che ravvisa la presenza della giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo e una che la esclude.
Poiché si tratta di un’incertezza di rilevante momento anche a causa del non modesto numero di casi simili o analoghi al presente, la Sezione, d’ufficio, ai sensi dell’art. 45 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 ritiene opportunorimettere la decisione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato su questo preliminare punto di diritto concernente il dubbio sulla giurisdizione del giudice amministrativo e, consequenzialmente, sul resto della controversia.
2. In effetti, secondo un primo orientamento che emerge – anche se spesso non ex professo – da precedenti e diverse decisioni di questa stessa V Sezione del Consiglio di Stato, questo tipo di controversia rientra nell’ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva (cfr. ad es. Cons. Stato, V, 31 luglio 2006, n. 4695 e 4697, che danno per acquisita la sussistenza della giurisdizione amministrativa).
Le basi normative cui fa riferimento questo avviso sono le risalenti disposizioni dell’art. 29, nn. 5), 6) e 7) r.d. 26 gennaio 1924, n. 1054, cui rinvia l’art. 7 l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e più recentemente l’art. 33, comma 1, lett.e) d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7 l. 21 luglio 2000, n. 205.
Si deve registrare che questo orientamento si trova espresso in Cons. Stato,V, 10 febbraio 2004, n. 479 [dunque: precedente a Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204], secondo cui sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi ormai dell’articolo 33 d. lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dalla l. n. 205 del 2000, che nel riferirsi alla controversie circa i servizi pubblici prende in considerazione espressa il servizio sanitario nazionale. L’art. 33 ha però una valenza più ampia e generalizzata, comprensiva anche di attività a rilevanza pubblicistica, concernenti l’espletamento del servizio assistenziale privo di connotazione sanitaria. La ripartizione delle spese del servizio erogato tra le diverse amministrazioni a vario titolo coinvolte riguarda i profili generali di organizzazione dell’attività e presenta rilevanza pubblicistica, giustificando l’attribuzione delle controversie al giudice amministrativo, anche quando siano dedotte posizioni di diritto soggettivo. Oltretutto, la controversia riguarda i rapporti tra il gestore del servizio e le amministrazioni titolari dei poteri di organizzazione e di controllo sull’espletamento dei servizi sanitari e assistenziali.
È questo l’orientamento che, anche esplicitamente, è fatto proprio dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia (nel cui territorio ha sede l’Istituto ospedaliero di Sospiro): cfr. ad es. 26 luglio 2000, n. 649 (oggi sottoposta al vaglio della Sezione), per cui per questo genere di controversia vi è giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di prestazione di un pubblico servizio: la base normativa della giurisdizione amministrativa risiede ormai – per quella lettura – nell’art. 33, comma 1, lett. f), d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e non più, come in passato, nell’art. 29, nn. 5), 6) e 7) r.d. n. 1054 del 1924, n. 1054 e 7 l. n. 1034 del 1971, e nemmeno in considerazione della natura dell’ente ricorrente. Infatti, con l’art. 14 terzo comma, lett. l) ed m) della l. n. 833 del 1978, di istituzione del Servizio sanitario nazionale, le funzioni di “assistenza ospedaliera per le malattie fisiche e psichiche” e di “riabilitazione” dei soggetti affetti da minorazioni, fisiche, psichiche o sensoriali, sono passate alle usl di residenza e le usl attingono al Fondo sanitario nazionale. Questa unificazione della tutela della salute fisica e di quella psichica nell’àmbito del Servizio sanitario nazionaleinquadra le controversie tra quelle di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 33, cit..
La Sezione qui oggi annota che una tale conclusione potrebbe, altresì, trovare un qualche elemento di riferimento nella considerazione che il rimborso di cui si controverte riguarda il costo di una prestazione (erogata in forma)indiretta del servizio sanitario, che è stata sì effettuata da un soggetto di diritto privato (l’Istituto ospedaliero di Sospiro), ma nella veste di concessionario del Servizio sanitario nazionale in attuazione di un rapporto convenzionale tra l’Istituto e i soggetti del medesimo Servizio (il cui strumento, peraltro, sarebbe da acquisire agli atti).
Le più recenti sentenze 2 novembre 2004, n. 1487 e 25 gennaio 2005, n. 39 di quello stesso Tribunale affermano che questo genere di controversia, coinvolgendo la ripartizione delle spese del servizio erogato tra le diverse amministrazioni coinvolte, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 33 d.lgs. n. 80 del 1998 (come sostituito dalla l. n. 205 del 2000). Infatti da un alto non è in contestazione un diritto di credito, ma l’individuazione del soggetto cui imputarlo, da un altro va considerato che la norma ha una valenza più ampia e generalizzata, comprensiva dell’attività riguardante i profili generali di organizzazione a rilevanza pubblicistica, anche in ordine al servizio assistenziale privo di connotazione sanitaria. Pertanto, vanno applicate le originarie previsioni dell’art. 29, 5° e 6° comma (sic) r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 in tema di spese obbligatorie per lo Stato, nonché di spedalità e di ricovero degli inabili al lavoro, che sono rimaste ferme, quali clausole di attribuzione di giurisdizione su diritti ed interessi anche dopo la sentenza costituzionale 6 luglio 2004, n. 204.
Come si può notare, vi è dunque una discordanza, di non poco rilievo, tra queste sentenze e la detta sentenza n. 649/2000 di quello stesso Tribunale circa il fondamento normativo di questa ritenuta giurisdizione esclusiva. In effetti, la differenza non è da poco, perché dire che questa si fonda sulle norme specifiche, se non episodiche, del 1924 è altra cosa che far riferimento alla recente disposizione generale sulla giurisdizione circa i servizi pubblici.
Questo è comunque l’indirizzo interpretativo anche di T.a.r. Toscana, II, 23 agosto 2001, n. 1333, che fa riferimento agli artt. 29 n. 7) r.d. n. 1054 del 1924 e 7 l. n. 1034 del 1971.
Osserva qui la Sezione, quanto a queste non pacifiche basi normative di questa assunta giurisdizione esclusivadel giudice amministrativo, che nella materia in questione vi è un momento storico di discrimine, un prima e un dopo, costituito dall’entrata in vigore dell’art. 33 d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80 che, come meglio si riepilogherà, ha introdotto il principio generalizzato delle giurisdizione amministrativa esclusiva in tema di pubblici servizi, sottraendolo alla frammentarietà delle norme del 1924.
Le norme dell’art. 29, nn. 5), 6), e 7), r.d. 26 gennaio 1924, n. 1054 e, per richiamo di quello, l’art. 7 l. 6 dicembre 1971, n. 1934 avevano in effetti carattere particolare, episodico e frammentario. È nel 1998 che viene introdotta questa norma dell’art. 33 d. lgs. n. 80, dal carattere per così dire generale – riformulata dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 (art. 7), che è stata oggetto di intervento anche interpretativo del giudice delle leggi (dapprima, sul testo originario del 1998, Corte cost., 17 luglio 2000, n. 292 e poi, sul nuovo testo del 2000, 6 luglio 2004, n. 204) –.
È bene rilevare che in base alle disposizioni del 1924, sono attribuiti alla giurisdizione amministrativa esclusiva:“5) i ricorsi circa la competenza passiva delle spese ritenute rispettivamente obbligatorie per lo Stato, per la Provincia e per il Comune, ai termini delle leggi vigenti in materia di sanità pubblica [materia nella quale, a norma dell’ultimo comma di quell’art. 29, “il Consiglio di Stato pronunzia anche in merito”]; 6) i ricorsi in materia di spedalità e di ricovero degli inabili al lavoro; 7) le controversie relative alle spese per gli alienati previste dall’art. 7 (primo comma) della l. 14 febbraio 1904, n. 36 [Disposizioni sui manicomi e sugli alienati] [art. 7, primo comma, secondo il quale “le controversie relative alle spese per gli alienati nelle quali siano interessati lo Stato, o più province, o comuni o istituzioni di pubblica beneficenza che abbiano obbligo del mantenimento degli alienati, appartenenti a province diverse sono di competenza della IV sezione del Consiglio di Stato”]”. (così Cons. Stato, V, 25 febbraio 1997, n. 187).
È già qui il caso di accennare al fatto che una compiuta disamina della materia richiede comunque che sia sciolto – come finora non pare sia stato fatto, almeno in modo esaustivo – il nodo del rapporto tra queste norme succedutesi nel tempo: soluzione che, può già accennarsi, ad avviso odierno della Sezione, va svolta nel senso dell’assorbimento, ad opera delle norme del 1998 e del 2000, delle precedenti del 1924 e del 1971. In tema di giurisdizione esclusiva, vale a dire di ripartizione per materia della pubblica funzione giurisdizionale tra giudice ordinario e giudice speciale, una norma posteriore generale non può far sopravvivere una precedente norma speciale che abbia – in rapporto di parte a tutto – il medesimo oggetto, in quanto la norma successiva ridefiniscein toto l’assetto organizzativo pubblico della giurisdizione e assorbe ogni precedente, isolata attribuzione di frammenti di quella materia (contra: Cons. Stato, V, 31 luglio 2006, n. 4693, secondo cui la precedenza nel tempo della fonte è di suo attributiva alle norme del 1924 di “una particolare autonomia“ alla materia delle spese di spedalità).
Detta decisione Cons. Stato, V, 31 luglio 2006, n. 4693 afferma che sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “prima ed a prescindere dal d.lgs. n. 80 del 1998”, cioè in base all’art. 29 r.d. n. 1054 del 1924 (ribadito dall’art. 7 l. n. 1034 del 1971) e sono fuori dai limiti derivanti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 33, come successivamente definiti da Corte cost., n. 204 del 2004 (sentenza che, nel criticare la pienezza della giurisdizione esclusiva definita dall’art. 33, ha riguardo non già alla commistione tra posizioni giuridiche riconducibili sia al diritto soggettivo che all’interesse legittimo, ma alla determinazione legislativa di distribuire la giurisdizione per blocchi di materie indipendentemente dall’esercizio di una pubblica funzione da parte dell’amministrazione ovvero ancorché questa non agisca in veste di autorità).
In realtà – rileva quella decisione – in questo settore ricorre l’esercizio di pubblica funzione. Infatti il d.P.C.M. 8 agosto 1985 demanda alla Regione, “nei casi in cui non sia possibile, motivatamente, disgiungere l’intervento sanitario da quello socio-assistenziale” di stabilire “che l’onere sia forfetariamente posto a carico, in misura percentuale, del Fondo sanitario nazionale o degli enti tenuti all’assistenza sociale in proporzione all’incidenza rispettivamente della tutela sanitaria e della tutela assistenziale, con eventuale partecipazione da parte dei cittadini”. Lo stesso d.P.C.M. prescrive che “le istituzioni di cui sopra debbono offrire idonee garanzie di dotazione di personale qualificato e di mezzi strumentali per la erogazione delle prestazioni sanitarie di cui al richiamato art. 1” e prevede l’istituzione di un’apposita “commissione permanente di verifica dei necessari requisiti di idoneità e della qualità dell’assistenza sanitaria erogata dalle istituzioni medesime” (art. 6). Vi sono dunque delle determinazioni amministrative, assunte nell’ambito dei poteri attribuiti agli organismi locali delServizio sanitario. Inoltre la deliberazione della Regione Lombardia 28 dicembre 1987, che recepisce il citato art. 6 d.P.C.M. 8 agosto 1985, condiziona l’assunzione a carico del Fondo sanitario dell’area delle malattie mentali e delle altre attività socio riabilitative e dei ricoveri in strutture sanitarie protette, ad un’apposita deliberazione delComitato di gestione delle unità sanitarie locali di competenza. Questa deliberazione richiede un accertamento tecnico-discrezionale sulla patologia e sul progetto di riabilitazione e rieducazione funzionale nell’ambito degli interventi previsti dall’art. 26 l. n. 833 del 1978. Nella deliberazione è anche disciplinata l’ipotesi dell’art. 6, u.c., d.P.C.M. 8 agosto 1985 (motivata impossibilità di disgiungere l’intervento sanitario da quello socio-assistenziale) condizionando l’assunzione a carico del Fondo sanitario delle prestazioni sanitarie ad apposita determinazione regionale, in cui assume significato pregnante la necessità di una “verifica dei necessari requisiti di idoneità e della qualità dell’assistenza sanitaria erogata dalle istituzioni medesime”.
Da tale quadro emergerebbe che: a) l’assunzione a carico del Servizio sanitario nazionale delle spese di ricovero e cura non dipende direttamente dalla legge, ma è condizionata ad apposita deliberazione dell’Unità sanitaria locale (ora A.S.L.); b) la deliberazione involge apprezzamenti di natura tecnico-discrezionale, che appartengono alla sfera delle pubbliche potestà; c) quando non si può disgiungere le prestazioni sanitarie da quelle socio-assistenziali, la ripartizione degli oneri fra Comuni ed A.S.L. dipende dalle determinazioni tecnico-discrezionali assunte, e non dalla legge.
Queste considerazioni, rileva oggi la Sezione, riguardano determinazioni che non concernono l’obbligazione pecuniaria per cui è controversia, ma la ripartizione delle varie tipologie di prestazione tra le due aree, e l’abilitazione di soggetti privati ad erogare in forma indiretta. Cioè vicende che si collocano come presupposti e che non incidono sull’oggetto della controversia.
Rileva altresì ora la Sezione che un tale indirizzo sembra porsi in contrasto con alcuni principi desumibili da tempo dalla giurisprudenza del giudice della giurisdizione. Si veda ad es. – seppure in riferimento ad un altro soggetto erogatore delle prestazioni – Cass. SS.UU, 10 gennaio 1991, n. 161, secondo cui la controversia fra un istituto di assistenza sociale e il Comune riguardante l’ammontare del rimborso dovuto al primo per rette di ricovero o mantenimento, spetta alla cognizione del giudice ordinario, perché investe posizioni di diritto soggettivo ed esula dalle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui all’art. 29, nn. 5) e 6)r.d. n. 1054 del 1924 anche se l’istituto ha chiesto statuizioni esorbitanti dai limiti interni delle attribuzioni del giudice ordinario (come l’annullamento di atti amministrativi attinenti a quei diritti, anziché la mera disapplicazione degli stessi).
Anche per Cass., SS.UU., 18 novembre 1997, n. 11435, la controversia fra un istituto di assistenza sociale ed il comune, circa l’ammontare del rimborso dovuto al primo per rette di ricovero o mantenimento, nella disciplina del Servizio sanitario nazionale della l. n. 833 del 1978 spetta al giudice ordinario, perché investe posizioni di diritto soggettivo ed esula dalle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui ai dell’art. 29, primo comma, n. 5) e 6) r.d. 26 giugno 1924, n. 1054.
Per Cass., SS.UU., 26 febbraio 1999, n. 102, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda, proposta da un istituto di assistenza nei confronti di un’usl, di rimborso delle rette di ricovero di un infermo di mente, siano esse qualificate come spese di ricovero ospedaliero o come spese di assistenza obbligatoria. Infatti, quando si discute del rimborso di spese di ricovero nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e della disciplina dettata dalla l. 23 dicembre 1978, n. 833, si deve escludere che ricorrano le previsioni dell’art. 29, n. 5) e 6) r.d. 26 giugno 1924 n. 1054. Invero, mentre quelle fanno riferimento “alle questioni di identificazione dei soggetti tenuti al rimborso delle spese di spedalità, soccorso e assistenza”, viceversa, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 30 l. 27 dicembre 1983, n. 730, “le controversie in materia di riparto tra spese di rilievo sanitario imputabili al Fondo sanitario nazionale e spese socio assistenziali dei Comuni hanno una configurazione e presupposti chiaramente distinti rispetto a quelli giustificanti la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
Dopo la norma del 1998, nella giurisprudenza del giudice della giurisdizione si è comunque andato consolidando un orientamento sempre più sfavorevole a ritenere, in questa materia, la giurisdizione del giudice amministrativo delineata dalla vecchie norme del 1924.
Così, per Cass., SS.UU, 18 luglio 2001, n. 9767, va anzitutto escluso che il rimborso delle spese di ricovero di una degente nell’ambito del servizio sanitario nazionale e della disciplina dettata dalla legge 23 dicembre 1978 n. 833, rientri nelle previsioni di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 29, n. 5) e 6) r.d. n. 1054 del 1924. Invero, mentre queste fanno riferimento “alle questioni di identificazione dei soggetti tenuti al rimborso delle spese di spedalità, soccorso e assistenza”, viceversa a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 30 legge 27 dicembre 1983, n. 730, le controversie in materia di riparto tra spese di rilievo sanitario imputabili al Fondo sanitario nazionalee spese socio-assistenziali dei Comuni hanno configurazione e presupposti distinti rispetto a quelli giustificanti la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr. Cass., SS.UU., 10 gennaio 1991 n. 161). Deve così ritenersi la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda – proposta, anteriormente al 10 agosto 2000, da un istituto di assistenza sociale nei confronti di una asl – di rimborso delle spese di ricovero nell’ambito del servizio sanitario nazionale, siano esse qualificate come spese di ricovero ospedaliero o come spese di soccorso e di assistenza obbligatorie, atteso che tale controversia investe posizioni di diritto soggettivo in ragione dell’art. 30 l. 27 dicembre 1983, n. 730, che ha posto a carico delle usl, direttamente o indirettamente, gli oneri sia per le attività di rilievo socio-assistenziale, sia per le attività di rilievo sanitario. Non hanno rilievo contrario le disposizioni del 1998 sul riparto della giurisdizione per i pubblici servizi, ivi compreso quello sanitario, perché l’estensione della giurisdizione esclusiva operata dall’art. 33 d. lgs. n. 80 del 1998 è stata retroattivamente rimossa dalla sentenza costituzionale n. 292 del 2000 per violazione della legge delega, e che l’art. 7 l. n. 205 del 2000, n. 205, privo di forza retroattiva, è insuscettibile di applicazione circa domande anteriori alla sua entrata in vigore, ostandovi il principio della perpetuatio iurisdictionis, come disciplinato dal nuovo art. 5 Cod. proc. civ..
Così ancora, per Cass., SS.UU., 28 aprile 2004, n. 8102, in tema di spese di ospedalità concernenti malati mentali cronici, in base al combinato disposto degli art. 1, 51 e 75 l. n. 833 del 1978, 30 l. n. 730 del 1983, 1 e 6 d.P.C.M. 8 agosto 1985, nel caso in cui, oltre alle prestazioni socio-assistenziali, siano erogate prestazionisanitarie, l’attività va considerata di rilievo sanitario e pertanto di competenza del servizio sanitario nazionale; e le relative controversie con cui un soggetto pubblico chieda ad un privato il rimborso delle spese, essendo di contenuto civilistico, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, esulando dalla previsione dell’art. 7 l. n. 36 del 1904 e, quindi, dell’art. 7 l. n. 1034 del 1971, che riguardano le controversie per l’identificazione dell’ente amministrativo competente per la spesa. Peraltro, questa pronuncia fu resa per una fattispecie cui non era applicabile, ratione temporis, la nuova disciplina della giurisdizione in materia di pubblici servizi dell’art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, né l’art. 33 d.leg. n. 80 del 1998.
Per Cass. [ord.], SS.UU, 15 luglio 2005, n. 14986, infatti, va espunta ormai dal sistema la norma del ricordato art. 29 n. 5) e 7): l’assetto normativo derivante dalla l. 13 maggio 1978, n. 180, inverto, che ha modificato radicalmente il sistema di custodia e cura degli alienati con la soppressione dei manicomi, e dalla l. 23 dicembre 1978 n. 833, che ha introdotto il servizio sanitario nazionale, hanno attribuito agli alienati lo stesso trattamento riservato ai soggetti affetti da altre patologie, il che comporta l’inapplicabilità dell’art. 7 l. 14 febbraio 1904 n. 36, che devolveva al Consiglio di Stato le controversie aventi ad oggetto le relative spese in cui fossero interessati lo Stato, più province o comuni o istituzioni di pubblica beneficenza obbligati al mantenimento degli alienati appartenenti a province diverse [art. 29 n. 7)], e dell’art. 29 n. 5) r.d. n. 1054 del 1924, che prevedeva lagiurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: con la conseguenza che, a seguito della dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 33 d.lgs. n. 80 del 1998, come mod. dall’art. 7 l. n. 205 del 2000, che attribuiva al giudice amministrativo le controversie riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del ssn, spetta al giudice ordinario la giurisdizione sul pagamento del corrispettivo per il servizio di degenza reso in favore di un privato, proposta da una casa di cura privata nei confronti di una usl, che non implichi l’interpretazione di una convenzione o di un atto o un provvedimento amministrativo.
Più recentemente, Cass., SS.UU., 26 luglio 2006, n. 17000 – ancora in riferimento ad un altro soggetto erogatore – ha affermato che in tema di prestazioni rese nell’ambito dei rapporti tra enti pubblici, non inquadrabili nello schema di un rapporto concessorio, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine al pagamento del corrispettivo del servizio di degenza reso in favore di un infermo psichico, proposta da un’specie amministrazione provinciale nei confronti di una usl: e non rileva che la controversia sia instaurata tra enti pubblici, ove non sia controversa la legittimità di un provvedimento amministrativo o l’esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione richiedente nei confronti di altra amministrazione.
3. Secondo l’opposto orientamento, espresso da tutta questa giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (cui si può, in analogia, aggiungere Cass. SS.UU., 24 novembre 2004 n. 22119 sulle controversie per le somme dovute dalle aziende sanitarie ai farmacisti) non sussiste la giurisdizione amministrativa. È questo l’orientamento delle decisioni oggi in esame del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari – n. 3206 del 7 luglio 2005 -, che Sezione staccata di Lecce: n. 2880 del 20 maggio 2006. Si può anche rilevare che, su questo versante negativo della giurisdizione amministrativa si muove questa stessa Sezione con la decisione 3 febbraio 2005, n. 277.
A seguire questo avviso negativo, infatti, la controversia non rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo come definita dall’art. 33, comma 1, lett. e) d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7 l. 21 luglio 2000, n. 205 (che comunque assorbe e supera l’art. 29, nn. 5), 6) e 7) r.d. 26 gennaio 1924, n. 1054 e l. 6 dicembre 1971, n. 1034).
Ad analizzare le sue componenti, si rileva che la controversia ha ad oggetto un’azione di accertamento di obbligazione pecuniaria per rette di ricovero e di condanna alla loro rifusione per prestazioni di tipo “socio-assistenziale” [ovvero: “sanitario”] erogate dall’Istituto Ospedaliero di Sospiro, spiegata da questo stesso Istitutoa carico dell’amministrazione di originaria residenza del soggetto ricoverato.
Alla luce di questa disamina dell’oggetto della controversia, la Sezione – ricordato che il difetto di giurisdizione è rilevabile anche d’ufficio (art. 30, primo comma, l. 6 dicembre 1971, n. 1034) – considera che l’azione medesima, di suo comunque esulante dall’azione generale di legittimità (che è costituiva dell’annullamento di un provvedimento amministrativo), non sembra rientrare nelle particolari ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dell’art. 33, comma 2, lett. e) d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, così come sostituito dall’art. 7 l. 21 luglio 2000, n. 205 e interpretato alla luce della sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204.
Dispone infatti quell’art. 33 che “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla l. 14 novembre 1995, n. 481.
2. Tali controversie sono, in particolare, quelle:
[…] e) riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale […], con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a cose e delle controversie in materia di invalidità”.
La Corte costituzionale, con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204 ha dichiarato tra l’altro l’illegittimità del detto comma 1 nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo«tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli» anziché «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla l. 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché».
Più in particolare, la sentenza costituzionale n. 204 del 2004 – interpretando la disposizione dell’art. 33 con considerazioni sul riparto di giurisdizione per materia che sembrano trascendere lo stretto ambito di quella disposizione per estendersi invece all’intero sistema dei rapporti tra questa giurisdizione speciale e quella ordinaria – ha considerato che il riparto di giurisdizione per materie definito da questa disposizione,è tale per cui la tutela nei confronti della pubblica amministrazione deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte e non fondarsi esclusivamente sul dato oggettivo delle materie. Il collegamento delle materie di giurisdizione esclusiva con la natura delle situazioni soggettive è tale che le materie medesime devono partecipare della circostanza che la pubblica amministrazione agisca come autorità. Il fatto che la mera partecipazione della pubblica amministrazione sia parte nel giudizio non è sufficiente a radicare la giurisdizione amministrativa, come non è sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia.
Già questa Sezione, del resto, ha rilevato che a seguito di questa sentenza costituzionale con n. 204 del 2004, non appartengono più alla competenza del giudice amministrativo le controversie attinenti la corresponsione di indennità, canoni ed altri corrispettivi, giacché per quella sentenza esulano, in virtù della norma di risulta, dall’ambito definito dalla disposizione in tema di pubblici servizi.
Da questi criteri interpretativi discende che sembra esulare dall’ambito operativo di questo art. 33 il recupero delle spese in questione, che – come si è rilevato – non coinvolge espressioni autoritative della pubblica amministrazione (vale a dire, manifestazioni della supremazia amministrativa sugli amministrati), ma solo sue prestazioni pecuniarie dal titolo sociale, vale a dire una prestazione di assistenza per sua natura riconducibile o assimilabile per equivalente pecuniario alla prestazione di un livello essenziale di assistenza ai sensi del d.P.C.M. 29 novembre 2001 (Definizione dei livelli essenziali di assistenza).
Per conseguenza, pare sussistere secondo questo orientamento non la giurisdizione particolare del giudice amministrativo, ma la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria.
3. In tale contesto di contrasto giurisprudenziale, la questione merita di essere rimessa alla Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 45 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054.
P.Q.M.
rimette la decisione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 15 gennaio 2008, con l’intervento dei Signori:
Pres. Emidio Frascione
Cons. Giuseppe Severini, estensore
Cons. Marco Lipari
Cons. Caro Lucrezio Monticelli
Cons. Aniello Cerreto
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Giuseppe Severini f.to Emidio Frascione
IL SEGRETARIO
f.to Agatina Maria Vilardo
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 28 marzo 2008
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
p.IL DIRIGENTE
Pubblichiamo la sentenza n.1728/2007 del T.A.R. Sicilia, Sez. Catania, IV Sez. interna, che mette chiarezza sugli obblighi e diritti dei vari soggetti e rigetta la richiesta di pagamento del c.d. “vuoto per pieno”. L’Azienda U.S.L. n.3 peraltro è stata difesa dal responsabile del sito, l’Avv. Alberto Del Campo.
REPUBBLICA ITALIANA N. 1728/07 Reg. Sent.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 4273/02 Reg. Gen.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Quarta, composto dai Signori Magistrati:
Dott. Biagio Campanella Presidente
Dott. Ettore Leotta Consigliere relatore estensore
Dott. Francesco Brugaletta Consigliere
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 4273/2002 R.G. proposto da Korus S.r.l., Cappuccini S.r.l., Villa Gaia S.r.l., R.S.A. Lucia Mangano, Arka S.r.l. e Residenza Serena S.r.l., in persona del legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Andrea Scuderi e Lino Barreca, presso lo studio dei quali, sito in Catania, Via Vincenzo Giuffrida n. 37, sono elettivamente domiciliati;
contro
l’Assessorato Regionale della Sanità, in persona dell’Assessore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege;
l’Azienda Unità Sanitaria Locale 3 di Catania, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Andrea Del Campo e Giuseppe Caltabiano, elettivamente domiciliato in Catania, Via Gorizia n. 54, presso lo studio del secondo;
per l’annullamento
(ricorso principale)
del decreto assessoriale del 7 agosto 2002, n. 1545, pubblicato nella G.U.R.S. del 6 (rectius 4) ottobre 2002, relativo alla determinazione dei posti letto e delle rette in Residenze Sanitarie Assistenziali (R.S.A.) per anziani non autosufficienti e disabili; nonché di ogni altro atto o provvedimento, antecedente o successivo, comunque presupposto, connesso o consequenziale (ivi compresa, per quanto possa occorrere, la relazione del 19 luglio 2001 n. 12/dip/1828, allo stato sconosciuta).
nonché per l’annullamento
(ricorso per motivi aggiunti)
limitatamente alle ricorrenti Cappuccini S.r.l. e Villa Gaia S.r.l., del decreto assessoriale 18 febbraio 2003, pubblicato nella G.U.R.S. del 14 marzo 2003, n. 12, intitolato “modifica ed integrazione del decreto 7 agosto 2002, concernente determinazione dei posti letto e delle rette in R.S.A. per anziani non autosufficienti e disabili”, nella parte in cui ha integrato il predetto decreto, fissando la retta pro – die e pro – capite per il modulo da 20 posti letto, ponendo tuttavia a carico dell’utente finale privato l’importo di Euro 50,63; nonché avverso ogni altro atto o provvedimento, antecedente o successivo, comunque presupposto, connesso o conseguenziale (ivi compresa, per quanto possa occorrere, la relazione del 19 luglio 2001 n. 12/dip/1828).
Visti il ricorso principale ed il ricorso per motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti, a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore per la pubblica udienza del 6 giugno 2007 il Consigliere Dott. Ettore Leotta;
Uditi gli Avvocati delle parti costituite come da verbale di causa;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
Fatto e diritto
1) Le strutture ricorrenti, in possesso degli “standard” strutturali e funzionali richiesti dal D.P.R.S. 25 ottobre 1999, sono accreditate ed iscritte all’albo degli enti gestori delle residenze sanitarie assistenziali (R.S.A.) per soggetti anziani non autosufficienti e per disabili e svolgono tale attività sulla base delle relative convenzioni stipulate con l’A.U.S.L. n. 3 di Catania.
Con decreto 7 agosto 2002, n. 1545, pubblicato nella G.U.R.S. del 4 ottobre 2002, l’Assessore Regionale alla Sanità ha provveduto alla “determinazione dei posti letto e delle rette in R.S.A. per anziani non autosufficienti e disabili”.
In particolare, nel predetto decreto sono stati contemplati:
– la formazione di moduli da 40, 60, 80 e 120 posti letto, venendo individuate le figure professionali da adibire ai moduli stessi;
– i criteri di ripartizione dei costi, tenendo conto dei 4 macro-livelli previsti dalle linee-guida ministeriali: 1) costi di assistenza sanitaria per il 100% a carico del fondo sanitario regionale; 2) costi alberghieri e generali per il 100% a carico dell’ospite; 3) costi di assistenza sociale di rilievo sanitario a carico sia del fondo sanitario regionale che dell’ospite nel rapporto dei costi di cui al punto 1) e 2); 4) costi edilizi (investimento e manutenzione edilizia, impiantistica e tecnologia) a carico per il 50% del fondo sanitario regionale e per il restante 50% dell’ospite;
– la conseguente determinazione della retta, così quantificata: “modulo da 40 posti letto, a carico del fondo sanitario regionale 79,49 euro ed a carico dell’utente 30,47 euro, per un totale di 109,96 euro; modulo da 60 posti letto, a carico del fondo sanitario regionale 78,18 euro ed a carico dell’utente 23,58 euro, per un totale di 101,76 euro; modulo da 80 posti letto, a carico del fondo sanitario regionale 76,56 euro ed a carico dell’utente 17,34 euro, per un totale di 93,90 euro; modulo da 120 posti letto, a carico del fondo sanitario regionale 75,87 euro ed a carico dell’utente di 11,45 euro, per un totale di 87,33 euro”.
Nello stesso decreto sono state introdotte le seguenti prescrizioni:
– nel caso in cui l’ospite non sia in grado di far fronte in tutto o in parte alla quota di diaria a suo carico, i familiari tenuti all’obbligo degli alimenti ai sensi dell’art. 433 Codice civile, dovranno contribuire al pagamento della diaria stessa in base alla propria capacità economica, che deve essere accertata nella procedura di ammissione;
– nel caso in cui la quota parte della diaria non possa essere in tutto o in parte posta a carico dell’utente o dei suoi familiari, sarà il Comune di residenza a provvedere a corrispondere un contributo integrativo fino a copertura della diaria stessa;
– per garantire il pagamento della quota gli ospiti invalidi civili beneficiari per legge di assegno di accompagnamento sono tenuti alla corresponsione alla R.S.A. dell’intera quota di detto assegno quale contributo alle spese;
– i percettori della sola pensione sociale, senza redditi ulteriori da patrimonio o altro, ovvero con reddito di importo pari alla pensione sociale sono esonerati dal concorso alla retta;
– deve essere garantita prioritariamente all’ospite la conservazione di una quota di pensione o di reddito mensile di 129,11 euro;
– allo scopo di garantire il pagamento della quota alberghiera al momento dell’accesso del paziente nella struttura residenziale deve sottoscriversi la dichiarazione della posizione reddituale e quella di impegno dell’assistito o di un familiare alla corresponsione della quota parte della diaria giornaliera a proprio carico;
– in presenza di situazioni di necessità ed urgenza, l’inserimento in R.S.A. non è condizionato alla sottoscrizione dell’impegno di cui sopra.
Indi, nello stesso decreto è stato riportato il testo della “dichiarazione di impegno” da sottoscriversi dal soggetto assistito, al momento dell’accesso nella struttura residenziale, per il pagamento di quella quota parte della retta che rimane a proprio carico.
Con ricorso principale notificato il 3 dicembre 2002, depositato il 14 dicembre 2006, le R.S.A. indicate in epigrafe hanno impugnato il predetto decreto assessoriale, deducendo a sostegno delle proprie ragioni le seguenti censure:
I – Violazione dell’art. 32 Costituzione e dei principi costituzionali di solidarietà ed uguaglianza, nonché dell’art. 26 della L. 833/1978 di riforma sanitaria. Violazione del principio di buon andamento. Eccesso di potere per manifesta illogicità, contraddittorietà e difetto di istruttoria e di motivazione.
In base al D.P.R.S. 25 ottobre 1999, le R.S.A. sarebbero delle strutture proprie del Servizio Sanitario Nazionale di tipo extraospedaliero, facenti parte della rete di servizi territoriali di primo livello, destinate a soggetti prevalentemente non autosufficienti e/o disabili, non curabili a domicilio, portatori di patologie geriatriche, neurologiche e psichiche stabilizzate, nelle quali sarebbero realizzati tre diversi tipi di intervento costituiti da ospitalità “permanenti”, ovvero “di sollievo alle famiglie non superiori a trenta giorni”, ovvero ed infine “di completamento di cicli riabilitativi eventualmente iniziati presso altri presidi del Servizio Sanitario Nazionale…”.
In sostanza, le strutture in questione risulterebbero collocate nello specifico ambito dell’intervento pubblico statale e regionale finalizzato ad assicurare ai cittadini il fondamentale diritto alla salute e le funzioni di recupero e di riabilitazione, in conformità ai precetti dell’art. 32 Costituzione e dell’art. 26 della L. n. 833/1978.
Tale impianto classificatorio troverebbe completamento mediante l’applicazione dei principi costituzionali di solidarietà ed uguaglianza, attraverso l’essenziale contributo delle amministrazioni comunali di residenza, ai cui contributi sarebbe affidata l’attività di sostegno sociale, mentre il diritto di richiedere l’intervento economico del soggetto assistito munito di capacità sufficienti avrebbe natura residuale.
Con il provvedimento impugnato l’Autorità regionale avrebbe tradito tale impianto normativo, in quanto:
A – avrebbe escluso del tutto l’intervento economico delle Amministrazioni comunali di residenza;
B – ponendo a carico degli assistiti il 100% dei costi alberghieri ed il 50% dei costi edilizi e sociali, avrebbe gravato i cittadini anziani e/o disabili interessati, in modo rilevante e senza adeguata motivazione, con evidente violazione dei principi costituzionali di tutela della salute e di solidarietà sociale;
C – avrebbe gravato le strutture residenziali dell’onere di imporre e riscuotere le quote ripartite a carico dei soggetti anziani o disabili assistiti, con evidente vizio di manifesta ingiustizia, illogicità e contradittorietà, nonché violazione del principio di buon andamento del servizio sanitario, atteso che le strutture stesse avrebbero il diritto di ricevere con certezza delle rette parametrate ai loro costi, ma non possederebbero, in caso di mancato adempimento degli obblighi da parte di terzi, quegli strumenti di recupero coattivo e/o di compensazione rientranti nella disponibilità pubblica.
II – Violazione sotto altro profilo dei principi sopra enunciati, nonché del decreto del Presidente della Regione del 25 ottobre 1999. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione.
Il decreto impugnato sarebbe altresì illegittimo per altre ragioni, e precisamente:
A – per mancata previsione delle strutture da n. 20 posti letto, in contrasto con quanto contenuto nel D.P.R.S. 25 ottobre 1999 (che, al contrario, le contemplerebbe espressamente);
B – per mancata previsione di una tariffa unica per tutte le tipologie di struttura previste che, prescindendo dalla diversità di dimensioni delle stesse, rispondesse all’unitarietà ed omogeneità di prestazioni che devono essere garantite ai soggetti anziani e/o disabili assistiti (rimanendo invero gravemente violato il principio di eguaglianza e di tutela della salute);
C – per violazione delle regole di corretta istruttoria e motivazione in relazione a tutti i punti essenziali del decreto impugnato, dal calcolo dei fabbisogni alla determinazione delle rette ed al riparto delle stesse a carico dei soggetti assistiti.
III – Eccesso di potere per illogicità. Difetto di motivazione. Violazione art. 97 Cost. Violazione dell’art. 15 della L.R. 18 aprile 1981 n. 68 e dei principi di efficienza e buon andamento. Inammissibile aleatorietà. Alterazione del necessario ed equilibrato sinallagma contrattuale tra le contrapposte prestazioni.
Il Decreto impugnato si limiterebbe a prevedere e fissare l’importo della retta di degenza pro – die e pro – capite, in relazione all’effettiva presenza del soggetto assistito presso la struttura sanitaria RSA.
Le strutture, tuttavia, avrebbero dei costi fissi imposti dagli “standard” strutturali e di personale, fissati dal D.P.R.S. 25 ottobre 1999, dimensionati in relazione all’occupazione di tutti i posti letto.
Tali costi fissi non sarebbero dotati di alcuna flessibilità, per espressa previsione amministrativa.
Lo stesso importo della retta nascerebbe dal riconoscimento della necessità di coprire i costi fissi del personale e gli altri costi fissi (riscaldamento, elettricità, pulizia, biancheria, vitto ed alloggio, ammortamenti, etc).
Orbene, le singole strutture non avrebbero alcuna facoltà di ridurre il personale, né di ridurre le ore lavorative del personale medesimo, in presenza di un numero inferiore di pazienti rispetto a quello individuato dagli “standard” di cui si è detto, né di sopperire in alcun modo alla mancanza di pazienti, essendo vincolate a ricevere solo ed esclusivamente quelli inviati dal servizio sanitario.
In sostanza, con il decreto impugnato la convenzione di servizio sanitario ex art. 26 della L. n. 833/1978 delle R.S.A. si trasformerebbe in un contratto aleatorio in danno delle strutture, che subirebbero automaticamente una perdita, in presenza anche di un solo posto letto libero.
Ciò contrasterebbe non soltanto con il fondamentale principio di efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa che richiede un corretto equilibrio degli oneri e dei ricavi da parte del concessionario, ma anche con l’art. 15 della L.R. n. 68/1981, in base al quale le convenzioni dovrebbero prevedere il rimborso dei costi globali sostenuti per le prestazioni date e per il mantenimento dei servizi relativi agli “standards” fissati “secondo quanto previsto da piano regionale dei servizi per i soggetti portatori di handicap”.
Da ciò la necessità dell’inserzione automatica di una clausola ex art. 1339 Cod. civ., atta a garantire comunque in favore delle singole strutture il diritto a percepire una retta fissata per ciascun posto letto, anche nel caso in cui esso non venga in concreto occupato.
L’Assessorato Regionale della Sanità si è costituito in giudizio per avversare il gravame, chiedendone il rigetto.
Con ordinanza collegiale n. 40 del 4 febbraio 2003 questo Tribunale – Sezione Seconda – ha disposto taluni incombenti istruttori, eseguiti dall’Amministrazione regionale.
Immediatamente dopo, con decreto n. 00172 del 18 febbraio 2003 l’Assessore regionale alla Sanità ha modificato in parte l’impugnato D.A. 7 agosto 2002, n. 1545, abrogandone l’art. 2 ed introducendo una specifica retta per i moduli da n. 20 posti letto, fissata in complessivi Euro 141,37, di cui Euro 90,75 a carico del Fondo sanitario nazionale ed Euro 50,63 a carico dell’utente.
Con ordinanza collegiale n. 666 del 16 aprile 2003 questo Tribunale – Sezione Seconda – evidenziata la parziale improcedibilità dell’istanza cautelare, in relazione alla sopravvenuta determinazione del compenso per il modulo da n. 20 posti letto, introdotta con D.A. 18 febbraio 2003, ma ritenendo, ad un primo sommario esame, fondate le ulteriori doglianze dedotte in ricorso, con particolare riferimento ai motivi IA, IC e III, ha disposto la sospensione dell’esecuzione dell’impugnato D.A. 7 agosto 2002, n. 1545, facendo obbligo all’Assessore regionale alla Sanità di rideterminare le rette in R.S.A. per anziani non autosufficienti e disabili, entro 45 giorni dalla comunicazione – o notificazione a cura di parte – dell’ordinanza stessa.
Con atto notificato il 10 – 12 maggio 2003, depositato il 13 maggio 2003, le ricorrenti Cappuccini S.r.l. e Villa Gaia S.r.l., uniche titolari di strutture con moduli da n. 20 posti letto, hanno proposto un ricorso per motivi aggiunti, impugnando il D.A. 18 febbraio 2003, nella parte in cui, fissando la retta pro – die e pro – capite per il modulo da n. 20 posti letto, ha posto a carico dell’utente finale privato l’importo di Euro 50,63.
A sostegno delle proprie ragioni le società ricorrenti hanno riproposto le medesime censure di cui al ricorso principale.
Con memoria depositata il 29 luglio 2004 si è costituita in giudizio l’A.U.S.L. n. 3 di Catania per aderire alla censura I A (proposta avverso l’esclusione dell’intervento economico in via principale delle amministrazioni comunali) e, nello stesso tempo, per contestare la fondatezza degli ulteriori rilievi dedotti dalle strutture ricorrenti, evidenziando la natura concessoria del rapporto da queste instaurato con il Servizio Sanitario Nazionale e con le Amministrazioni locali.
In particolare, in base agli artt. 2, comma 3 e 6, ultimo comma, della L. 8 novembre 2000 n. 328, sugli enti locali graverebbero gli oneri di residenzialità per i soggetti non abbienti.
Questi ultimi sarebbero tenuti a compartecipare al costo di mantenimento in relazione al loro reddito, nella misura e con le modalità determinate con decreto dell’Assessore Regionale agli Enti Locali n. 867/S7 del 15 aprile 2003 (art. 7 ed 8).
In sostanza:
– i Comuni di residenza avrebbero l’obbligo di mantenere gli ospiti delle R.S.A. e la competenza ad accertare la situazione economica degli stessi, ai fini di determinare la loro quota di compartecipazione;
– gli stessi Comuni dovrebbero corrispondere l’intera quota “alberghiera” alle R.S.A. (soggetti concessionari in via traslativa di competenze in materia assistenziale proprie degli Enti locali), rivalendosi sugli utenti, nel caso di mancata corresponsione da parte di questi ultimi della quota di loro pertinenza;
– i costi fissi per posti non occupati potrebbero essere abbattuti tramite la “esternalizzazione” dei servizi, oppure con assunzioni di personale a tempo determinato, o con collaborazioni coordinate e continuate; in ogni caso, tali costi non sarebbero riferibili ai costi di assistenza sanitaria a carico del Fondo Sanitario Nazionale, mancando le prestazioni sanitarie, ma andrebbero imputati ai costi alberghieri e generali a carico degli ospiti, e quindi dei Comuni.
Con decreto 17 dicembre 2004 n. 10303, pubblicato nella G.U.R.S. 25 febbraio 2005 n. 8, adottato in esecuzione dell’Ordinanza cautelare n. 666 del 16 aprile 2003, l’Assessore regionale alla Sanità, richiamata la relazione d’ufficio prot. n. 6810 del 19 novembre 2004, ha disposto quanto segue:
A – ha provveduto alla definizione della retta unica quale media dei valori tariffari attribuiti alle tipologie di RSA da 20, 40 e 60 posti letto (escludendo i valori limite derivanti per le ipotetiche strutture da 80 e 120 posti letto, di fatto non presenti nel territorio regionale), determinandola in Euro 117,70 di cui Euro 82,81 a carico del servizio sanitario regionale ed Euro 34,89 a carico del cittadino;
B – ha dato disposizioni alle Aziende unità sanitarie locali incaricate dell’istruttoria per l’ingresso dei pazienti nelle strutture residenziali:
– di fare sottoscrivere all’assistito o al suo tutore la dichiarazione di impegno alla corresponsione della quota parte di retta a proprio carico;
– di riscuotere dall’assistito la quota parte a suo carico pari ad Euro 34,89;
– di corrispondere la retta per intero alla struttura residenziale pari ad Euro 117,70;
– di rivalersi nei confronti dei familiari tenuti all’obbligo degli alimenti ai sensi dell’art. 433 del codice civile secondo la loro capacità contributiva, nel caso in cui l’ospite non sia in grado di far fronte alla quota di diaria a suo carico;
– di rivalersi nei confronti del Comune di residenza che è tenuto a provvedere a corrispondere un contributo integrativo fino alla copertura della diaria per intero, nel caso in cui la quota parte della diaria non possa essere, in tutto o in parte, posta a carico dell’utente o dei suoi familiari.
Con atto notificato il 6 febbraio 2006, depositato il 10 febbraio 2006, le strutture ricorrenti principali hanno lamentato la non integrale ottemperanza all’ordinanza collegiale n. 666/2003, sostenendo che l’Autorità regionale avrebbe omesso di provvedere in ordine alla III^ censura del ricorso principale,
riguardante la necessità di coprire tutti i costi fissi sostenuti dalle R.S.A., in relazione al numero dei posti letto autorizzati, a prescindere dalla presenza o meno dei pazienti.
Con ordinanza collegiale n. 440 dell’8 marzo 2006 questo Tribunale – Sezione Quarta ha assegnato all’Assessorato Regionale alla Sanità il termine di 90 giorni per ottemperare integralmente alla precedente ordinanza collegiale n. 666/2003, nominando, per l’ipotesi di ulteriore inadempienza, quale commissario ad acta il Prefetto di Palermo o funzionario dallo stesso designato, per provvedere in via sostitutiva, entro l’ulteriore termine di 90 giorni.
Con decreto del 26 aprile 2006 n. 7790, adottato in esecuzione dell’Ordinanza cautelare n. 440/2006, l’Assessore Regionale alla Sanità, senza recesso e pregiudizio delle domande svolte in sede giurisdizionale, ha stabilito di corrispondere alle sole strutture ricorrenti, per la copertura dei costi fissi nell’ipotesi in cui i posti letto in convenzione non vengano di fatto occupati, la somma di Euro 62,00 a posto, pari al 75% della quota parte della retta a carico del Fondo Sanitario nazionale.
Con lo stesso decreto è stata prevista la ripetibilità delle somme erogate, in caso di giudizio favorevole per l’Amministrazione, “trattandosi di somme da erogare in assenza di prestazione resa”.
Con successivo decreto del 27 aprile 2006 n. 7799 (pubblicato nella G.U.R.S. 21 luglio 2006 n. 35) l’Assessore Regionale alla Sanità ha modificato in parte i precedenti decreti del 7 agosto 2002, del 18 febbraio 2003 e del 17 dicembre 2004, facendo salvi gli effetti già prodotti.
Con ulteriore decreto del 10 luglio 2006 la stessa Autorità regionale, nelle more della definizione dei contenuti del nuovo patto di stabilità per il triennio 2006 -2008 all’esame della conferenza Stato – Regioni, ha sospeso l’efficacia del decreto assessoriale n. 7799 del 27 aprile 2006 citato.
Con successive memorie le parti hanno illustrato le proprie difese.
Alla pubblica udienza del 6 giugno 2007 la causa è passata in decisione.
2) Con memoria depositata il 24 gennaio 2007 l’A.U.S.L. n. 3 di Catania, dopo aver premesso che, in base all’art. 3 del D.P.R.S. 25 ottobre 1999, la determinazione delle rette di degenza presso le R.S.A. avrebbe dovuto essere effettuata con decreto dell’Assessore Regionale alla Sanità, di concerto con l’Assessore Regionale agli Enti Locali, ha dedotto l’inammissibilità del gravame per mancata intimazione dell’Assessore Regionale agli Enti Locali.
Per il Tribunale tale rilievo è privo di pregio, atteso che l’impugnato Decreto assessoriale 7 agosto 2002, n. 1545, è stato emanato unicamente dall’Assessore Regionale alla Sanità, avverso il quale ritualmente è stata proposta la presente impugnazione.
3) Con la stessa memoria depositata il 24 gennaio 2007 l’A.U.S.L. ha poi dedotto la nullità del Decreto assessoriale 7 agosto 2002, n. 1545, ove adottato soltanto dall’Assessore Regionale alla Sanità, sussistendo il difetto assoluto di attribuzione dell’Autorità emanante.
Secondo il Collegio, anche tale rilievo dev’essere rigettato in quanto, in mancanza del concerto con l’Assessore Regionale agli Enti Locali, in capo all’Assessore Regionale alla Sanità si è verificata non una situazione di difetto assoluto di attribuzione con conseguente nullità del decreto impugnato, bensì una situazione di incompetenza relativa con conseguente annullabilità dell’atto, il quale, relativamente a tale profilo, avrebbe dovuto essere impugnato nei termini di legge.
4) Con ulteriore memoria depositata il 2 aprile 2007 l’A.U.S.L. ha eccepito il difetto di giurisdizione del Tar, sostenendo che con il presente gravame le R.S.A. ricorrenti mirerebbero ad ottenere il pagamento di maggiori somme, nell’ambito di un rapporto contrattuale successivo all’accreditamento.
Osserva il Tribunale che con il ricorso in esame le R.S.A. ricorrenti hanno impugnato un provvedimento assessoriale disciplinante, tra l’altro, le modalità di corresponsione delle rette di ricovero, le modalità di ricovero dei soggetti assistiti, le modalità di recupero delle rette a carico dei pazienti, profili tutti con i quali l’Autorità regionale ha inciso autoritativamente sulle precedenti convenzioni, dettando delle prescrizioni a contenuto generale, appartenenti ad una fase prettamente organizzativa del servizio pubblico – servizio sanitario nazionale.
Con sentenza 8 agosto 2005, n. 16605, alla quale espressamente si rinvia, la Corte di Cassazione SS.UU. ha affermato quanto segue:
“la convenzione tra la Regione e la struttura (o il professionista) privati dà vita a un rapporto che si inquadra nello schema della concessione di pubblico servizio, ricollegandosi a scelte di programmazione sanitaria riguardo alle quali l’amministrazione conserva poteri di autotutela e di controllo anche nella fase attuativa; pertanto la controversia che coinvolge la validità ovvero la determinazione del contenuto di tale convenzione, ed, in particolare, la configurabilità, nel suo ambito, di un tetto massimo di spesa, rientra, ai sensi dell’art. 5 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 -, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ponendosi come pregiudiziale rispetto alla pronuncia sulle altre questioni dedotte in giudizio (da ultimo Cass. Sez. Un. 29 aprile 2004 n. 8212).
Si aggiunga che il principio di diritto appena esposto conserva validità anche nel vigore della nuova disciplina della giurisdizione sulle controversie riguardanti prestazioni di ogni genere, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del servizio sanitario nazionale – disciplina contenuta nell’art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (nel testo sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000), così come risultante a seguito della declaratoria di parziale illegittimità costituzionale di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004 – dal momento che, anche nel descritto contesto normativo, permane la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel caso in cui la controversia coinvolga, come nella specie, la validità della convenzione tra la Regione e la struttura privata o la determinazione del prezzo della prestazione (vedi Cass. Sez. un. 24 marzo 2005 n. 6330)”.
Applicando tali principi di diritto al caso in esame, il Tribunale adito non può che riconoscere la propria giurisdizione.
5) Sempre con memoria depositata il 2 aprile 2007 l’A.U.S.L. ha eccepito l’inammissibilità del gravame, per mancata intimazione del Presidente della Regione Siciliana e dell’Assessore Regionale alla Famiglia.
Per il Collegio tale rilievo dev’essere rigettato, atteso che, come prima evidenziato, l’autorità emanante del D.A. 7 agosto 2002 è unicamente l’Assessore Regionale alla Sanità, che è stato correttamente evocato in giudizio.
6) Infine, con la stessa memoria del 2 aprile 2007 l’A.U.S.L. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, perché proposto collettivamente da R.S.A. operanti in regime di concorrenza tra loro, e quindi in situazione di conflitto d’interessi.
Ad avviso del Collegio, anche tale eccezione dev’essere rigettata.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione sanitaria resistente, le R.S.A. ricorrenti non hanno posizioni diverse e non operano in regime di concorrenza.
L’unica differenza tra tali strutture consiste nel numero dei posti letto, mentre per il resto esse svolgono la medesima attività di assistenza per anziani non autosufficienti e disabili, sicché sono portatrici degli stessi interessi e delle stesse esigenze.
In particolare, non può configurarsi una situazione di concorrenza, in quanto il ricovero degli assistiti non è compiuto direttamente dalle R.S.A., essendo invece gli stessi pazienti (o le loro famiglie) a scegliere, di volta in volta, la singola struttura, previa verifica della necessità del ricovero, effettuata dall’A.U.S.L.
7) Definite tali questioni di rito, il Tribunale ritiene necessario ricostruire il quadro normativo di riferimento.
Con Decreto 25 ottobre 1999 (emanato in applicazione del D.P.R. 14 gennaio 1997) il Presidente della Regione Siciliana, su proposta degli Assessori alla Sanità ed agli Enti Locali, ha approvato gli standard strutturali e funzionali delle residenze sanitarie assistenziali (R.S.A.) per soggetti anziani non autosufficienti e disabili ed ha previsto l’istituzione dell’albo relativo, stabilendo, all’art. 3, che la determinazione delle rette di degenza sarebbe stata effettuata con successivo decreto dell’Assessore per la sanità, di concerto con l’Assessore agli enti locali.
Nell’Allegato n. 1 al predetto D.P.R.S. sono stati specificati, tra l’altro, il ruolo e le funzioni delle R.S.A., nonché le modalità di accesso alle prestazioni da parte dell’utenza, fornendosi in proposito le seguenti indicazioni:
“Definizione di R.S.A.
Si definisce residenza sanitaria assistenziale (R.S.A.) una struttura extraospedaliera per anziani prevalentemente non autosufficienti e disabili non assistibili a domicilio e richiedenti trattamenti continui, finalizzata a fornire accoglienza, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero funzionale e sociale. La R.S.A. è la struttura residenziale dove si realizza al massimo di integrazione tra interventi sociali e sanitari; la R.S.A. è inserita nella rete dei servizi territoriali.
Collocazione istituzionale ed organizzativa della R.S.A.
La R.S.A. è una struttura propria del S.S.N. di tipo extraospedaliero che fa parte della rete dei servizi territoriali di primo livello.
Le R.S.A. sono destinate a soggetti prevalentemente non autosufficienti e/o disabili, non curabili a domicilio, portatori di patologie geriatriche, neurologiche e psichiche stabilizzate. Sono da prevedere ospitalità permanenti, di sollievo alla famiglia non superiori ai 30 giorni, di completamento di cicli riabilitativi eventualmente iniziati in altri presidi del S.S.N.
La differenziazione delle tipologie degli ospiti diventa dunque strategica in relazione anche allo sforzo di delineare modelli di gestione che garantiscono un’assistenza più mirata alla peculiarità delle condizioni di bisogni espresse da ciascuna tipologia che richiedono comunque attività terapeutica, riabilitativa e assistenziale continua, allo scopo di limitare i ricoveri in ambiente ospedaliero.
Utenza della R.S.A. e modalità d’accesso
Anziani prevalentemente non autosufficienti, non curabili a domicilio per la mancanza di supporto familiare, o dimessi dall’ospedale dopo un episodio di malattia, in assenza di patologie acute che necessitino di un ricovero ospedaliero.
L’organizzazione tecnica che adotta i provvedimenti necessari per l’accesso dell’anziano alle R.S.A. e/o agli altri servizi di rete è l’Unità di valutazione territoriale U.V.G. o U.V.M.).
Per valutare le condizioni psicofisiche dell’anziano l’U.V.G. o U.V.M. si avvale della valutazione multidimensionale: scale di valutazione della autonomia funzionale, integrate dalla valutazione psico-sociale.
Disabili il cui accesso è stabilito dal servizio medicina di base dell’ASL previo accertamento della commissione integrata che attesti le condizioni di persona handicappata ai sensi della legge n. 104/1992 e successive modificazioni.
Non possono essere ammessi soggetti con patologia psichiatrica”.
Ad avviso del Collegio, gli elementi qualificanti sono costituiti dal fatto che:
– le R.S.A. sono considerate come strutture proprie del S.S.N. di tipo extraospedaliero, facenti parte della rete dei servizi territoriali di primo livello;
– in esse le prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero funzionale sono sicuramente prevalenti rispetto alle prestazioni di accoglienza e di recupero sociale (di competenza dei Comuni, ai sensi dell’art. 16 della L.R. 9 maggio 1986 n. 22), tanto è vero che l’accesso alle singole R.S.A. dev’essere autorizzato dalle Unità di valutazione territoriale U.V.G. o U.V.M.(che sono strutture delle Aziende Unità Sanitarie Locali), in relazione allo stato di salute dei pazienti.
Tale impostazione trova conferma nella relazione n. 12/dip. 1828 del 19 luglio 2001, richiamata nelle premesse del D.A. 7 agosto 2002 n. 1545 (impugnato con il ricorso principale).
La L. 8 novembre 2000 n. 328 – Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali – (applicabile immediatamente in Sicilia perché portante principi di riforma economico – sociale), a sua volta, dopo aver stabilito all’art. 2, comma 3, che “i soggetti in condizione di povertà o con limitato reddito o con incapacità o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali, accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali”, ha prescritto all’art. 6, comma 4, che“Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica“.
Indi, con decreto n. 867/S7 del 15 aprile 2003 (in verità successivo all’adozione del D.A. 7 agosto 2002, n. 1545, impugnato con il ricorso principale) l’Assessore Regionale agli Enti Locali ha dettato i criteri unificati di valutazione economica (ISEE) ai fini dell’accesso agevolato ai servizi sociali.
L’art. 1 del predetto decreto prescrive che all’accertamento ed alla valutazione delle condizioni economichedei soggetti richiedenti l’accesso ai servizi ed alle prestazioni sociali agevolate provvedono gli Enti locali, con le modalità ed i criteri fissati dal Decreto Leg.vo 31 marzo 1998 n. 109 e dal regolamento di applicazione approvato con D.P.C.M. 7 maggio 1999 n. 221.
In relazione al reddito posseduto, sono poi previste:
– varie misure di compartecipazione al costo di mantenimento per l’accesso ai servizi residenziali mediante ricovero intero o diurno, per i soggetti adulti, anziani e soggetti con disabilità fisica, psichica o sensoriale e sofferenti mentali, escludendo espressamente dalla compartecipazione gli “oneri per prestazioni sanitarie e ad elevata integrazione sanitaria posi a carico del F.S.R.” (art. 7);
– varie misure di compartecipazione agli stessi costi da parte dei soggetti obbligati a prestare gli alimenti ai ricoverati, ai sensi dell’art. 433 c.c., sempre con esclusione degli “oneri per prestazioni sanitarie e ad elevata integrazione sanitaria posti a carico del F.S.R.” (art. 8).
In sostanza, la L. n. 328/2000 ed il citato D.A. 15 aprile 2003 hanno separato in modo netto gli oneri per prestazioni sanitarie dagli oneri per i servizi residenziali, stabilendo che le prime sono a carico del Fondo Sanitario Regionale, mentre i secondi sono a carico dei Comuni di residenza degli assistiti, con il concorso dei diretti interessati, in tutto o in parte, in relazione alla loro situazione reddituale, il cui accertamento compete agli stessi Comuni.
Per completezza, va ricordato infine il D.P.C.M. 14 febbraio 2001 (emanato in attuazione dell’art. 2, comma 1, lettera n), della L. 30 novembre 1998 n. 419), costituente atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio – sanitarie, nella cui Tabella, per le forme di lungoassistenza semiresidenziali e residenziali riguardanti gli anziani e persone non autosufficienti con patologie cronico – degenerative, è stata prevista una ripartizione del costo complessivo tra Servizio sanitario nazionale e Comune di residenza dell’assistito, fatta salva la compartecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina regionale e comunale.
Così ricostruito il complesso quadro normativo di riferimento, il Tribunale procede all’esame del merito del gravame.
8) Con la I^ censura si deducono i seguenti vizi:
Violazione dell’art. 32 Costituzione e dei principi costituzionali di solidarietà ed uguaglianza, nonché dell’art. 26 della L. 833/1978 di riforma sanitaria. Violazione del principio di buon andamento. Eccesso di potere per manifesta illogicità, contraddittorietà e difetto di istruttoria e di motivazione.
Le parti ricorrenti premettono che, in base al D.P.R.S. 25 ottobre 1999, le R.S.A. sarebbero delle strutture proprie del Servizio Sanitario Nazionale di tipo extraospedaliero, facenti parte della rete di servizi territoriali di primo livello, quindi destinate ad assicurare ai cittadini il fondamentale diritto alla salute e le funzioni di recupero e di riabilitazione, e, nel contempo, esse svolgerebbero una funzione di sostegno sociale, con l’essenziale contributo economico dei Comuni di residenza degli assistiti, mentre l’intervento economico di questi ultimi avrebbe natura residuale.
Sostengono che con l’impugnato D.A. 7 agosto 2002 l’autorità regionale avrebbe tradito la normativa vigente, in quanto:
A – avrebbe escluso del tutto l’intervento economico delle Amministrazioni comunali di residenza;
B – ponendo a carico degli assistiti il 100% dei costi alberghieri ed il 50% dei costi edilizi e sociali, avrebbe gravato i cittadini anziani e/o disabili interessati, in modo rilevante e senza adeguata motivazione, con evidente violazione dei principi costituzionali di tutela della salute e di solidarietà sociale;
C – avrebbe gravato le strutture residenziali dell’onere di imporre e riscuotere le quote ripartite a carico dei soggetti anziani o disabili assistiti, con evidente vizio di manifesta ingiustizia, illogicità e contradittorietà, nonché violazione del principio di buon andamento del servizio sanitario, atteso che le strutture stesse avrebbero il diritto di ricevere con certezza delle rette parametrate ai loro costi, ma non possederebbero, in caso di mancato adempimento degli obblighi da parte di terzi, quegli strumenti di recupero coattivo e/o di compensazione rientranti nella disponibilità pubblica.
In ordine a tali rilievi, il Tribunale osserva quanto segue:
Sub A – In effetti, nell’impugnato D.A. 7 agosto 2002, n. 1545 l’intervento delle Amministrazioni comunali, ancorché contemplato all’art. 6, ha natura del tutto residuale, essendo previsto solo “nel caso in cui la quota parte della diaria non possa essere in tutto o in parte posta a carico dell’utente o dei suoi familiari”, laddove invece avrebbe dovuto essere introdotto un meccanismo di previa informazione dei Comuni interessati, in modo tale da far loro assumere gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica, conformemente a quanto previsto dall’art. 6, comma 4, della L. 8 novembre 2000 n. 328.
Pertanto il rilievo in esame è fondato e va disposto l’annullamento del provvedimento impugnato, nella parte in cui non è stato previsto l’intervento “ab origine” delle Amministrazioni comunali, tenute all’accertamento ed alla valutazione delle condizioni economiche dei soggetti richiedenti l’accesso ai servizi ed alle prestazioni sociali agevolate (Cfr. art. 1 del decreto n. 867/S7 del 15 aprile 2003 dell’Assessore Regionale agli Enti Locali), e non è stato fatto obbligo all’Amministrazione sanitaria di informare immediatamente del ricovero i Comuni di residenza degli assistiti.
A tal proposito, a titolo meramente esemplificativo, il Collegio richiama il procedimento contemplato dall’Allegato alla delibera 13 giugno 2006 n. 25 della Giunta regionale della Sardegna, in B.U. Sardegna 30 giugno 2006, n. 21, suppl. straord. n. 10, (che rinvia al protocollo d’intesa ANCI, Sezione Sardegna – Assessorato all’Igiene, Sanità e dell’Assistenza sociale, di cui alla delibera della Giunta Regionale n. 52/12 del 15 dicembre 2004), in base al quale (punto A. 6), dopo la presentazione dell’istanza d’inserimento in una R.S.A. (da effettuarsi presso il punto unico di accesso operante presso il distretto sanitario di residenza dell’utente) e l’acquisizione del parere dell’U.T.V., il Comune di residenza dell’assistito, ricevuta un’apposita comunicazione dal punto unico di accesso, nel più breve tempo possibile, e comunque entro 15 giorni dalla comunicazione, provvede:
– ad accertare le risorse economiche di cui dispone l’utente per contribuire agli oneri relativi alla quota sociale;
– ad assumere gli eventuali impegni di spesa a carico del Comune per la durata dell’inserimento, secondo le modalità previste dagli specifici regolamenti locali.
Va rilevato infine che, secondo lo stesso Allegato (punto A.7), le R.S.A. fatturano le prestazioni direttamente all’A.U.S.L. di residenza dell’utente.
Sub B – La previsione di un onere di spesa per la “residenzialità” a carico dei ricoverati, in relazione alla loro situazione reddituale, discende anch’essa dall’art. 6, comma 4, della L. 8 novembre 2000 n. 328 ed è stata correttamente prevista nell’impugnato D.A. 7 agosto 2002, n. 1545, onde il rilievo in esame dev’essere rigettato.
Deve tuttavia ribadirsi che, in applicazione dello stesso art. 6, comma 4, della L. n. 328/2000, l’accertamento della situazione reddituale degli assistiti dev’essere demandato al Comune di residenza.
Tale circostanza, in effetti, non è stata specificata nell’impugnato D.A., nel quale l’Autorità emanate, all’art. 10, si è limitata a prevedere l’acquisizione della dichiarazione reddituale e dell’impegno dell’assistito o di un familiare alla corresponsione della quota parte della diaria giornaliera a proprio carico, senza tuttavia specificare quale soggetto debba effettuare i necessari accertamenti.
Sub C – L’impugnato D.A. 7 agosto 2002, n. 1545 risulta illegittimo e dev’essere annullato, laddove assegna alle R.S.A. anziché alle A.U.S.L. l’onere di riscuotere le quote di retta dovute dai soggetti assistiti.
Tale onere sicuramente non può gravare sulle R.S.A., che hanno il diritto di ricevere con certezza le rette, esattamente parametrate ai costi sostenuti, che non possiedono, in caso di mancato adempimento da parte di terzi, quegli strumenti di recupero coattivo e/o di compensazione, propri delle strutture pubbliche e la cui sopravvivenza è legata alla tempestiva riscossione delle rette stesse.
Tenuto conto del fatto che le R.S.A. erogano prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero funzionale, indubbiamente prevalenti rispetto alle prestazioni di accoglienza e di recupero sociale, e, nel contempo, per garantire la regolare erogazione delle rette di ricovero (sia per la quota “sanitaria” che per la quota “alberghiera”), condizione necessaria ed imprescindibile per il regolare funzionamento delle R.S.A., nell’interesse dell’utenza, il Collegio ritiene maggiormente conforme al principio costituzionale di buon andamento che il pagamento delle rette venga effettuato unitariamente dalle A.U.S.L., con l’onere a carico di queste ultime di recuperare le quote “alberghiere” delle rette, dovute, in tutto o in parte, dai soggetti assistiti o dai loro Comuni di residenza.
Ovviamente, all’assunzione di tale onere da parte delle A.U.S.L. devono corrispondere, da parte dei Comuni interessati, il tempestivo accertamento della situazione reddituale degli assistiti e la conseguente l’assunzione dell’impegno di spesa, totale o parziale, ove si tratti di soggetti privi, in tutto o in parte, di reddito.
Per completezza, va ricordato che, nelle more del giudizio, con D.A. 17 dicembre 2004, emanato in esecuzione dell’ordinanza cautelare di questo Tar – Sezione Seconda n. 666 del 16 aprile 2003, l’Assessorato Regionale alla Sanità ha fatto carico in via provvisora alle A.U.S.L. di corrispondere alle R.S.A. l’intera retta di ricovero, riscuotendo dagli assistiti la quota di loro pertinenza o rivalendosi, se del caso, nei confronti dei Comuni di residenza di questi ultimi.
Un’analoga prescrizione è stata introdotta nel D.A. 27 aprile 2006 (pubblicato nella G.U.R.S. 21 luglio 2006 n. 35), poi sospeso con D.A. 10 luglio 2006 (pubblicato nella G.U.R.S. 22 settembre 2006 n. 44).
9) Con la II^ censura si deducono i seguenti vizi:
Violazione sotto altro profilo dei principi sopra enunciati, nonché del decreto del Presidente della Regione del 25 ottobre 1999. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione.
Le parti ricorrenti sostengono che il D.A. 7 agosto 2002, n. 1545, sarebbe altresì illegittimo per altre ragioni, e precisamente:
A – per mancata previsione delle strutture da n. 20 posti letto;
B – per mancata previsione di una tariffa unica per tutte le tipologie di struttura previste, a prescindere dalle loro dimensioni;
C – per violazione delle regole di corretta istruttoria e motivazione in relazione a tutti i punti essenziali del decreto impugnato, dal calcolo dei fabbisogni alla determinazione delle rette ed al riparto delle stesse a carico dei soggetti assistiti.
Relativamente a tali profili di gravame, il Tribunale osserva quanto segue:
Sub A – Nelle more del giudizio, con D.A. n. 172 del 18 febbraio 2003 l’Assessore Regionale alla Sanità ha determinato le rette di ricovero per i moduli da n. 20 posti letto, il che ha determinato, relativamente a tale profilo, la cessazione della materia del contendere.
Sub B – Il motivo di gravame concernete la mancata previsione di una tariffa unica per tutte le tipologie di struttura previste, a prescindere dalle loro dimensioni, dev’essere accolto.
Con D.A. n. 1545 del 7 agosto 2002 (impugnato con il ricorso principale) e con successivo D.A. n. 172 del 18 febbraio 2003 (impugnato con il ricorso per motivi aggiunti) l’Assessore regionale alla Sanità ha quantificato l’importo delle rette di ricovero nel modo seguente:
– nel modulo da 20 posti letto, a carico del fondo sanitario regionale 90,75 euro ed a carico dell’utente 50,63 euro, per un totale di 141,37 euro;
– nel modulo da 40 posti letto, a carico del fondo sanitario regionale 79,49 euro ed a carico dell’utente 30,47 euro, per un totale di 109,96 euro;
– nel modulo da 60 posti letto, a carico del fondo sanitario regionale 78,18 euro ed a carico dell’utente 23,58 euro, per un totale di 101,76 euro;
– nel modulo da 80 posti letto, a carico del fondo sanitario regionale 76,56 euro ed a carico dell’utente 17,34 euro, per un totale di 93,90 euro;
– nel modulo da 120 posti letto, a carico del fondo sanitario regionale 75,87 euro ed a carico dell’utente di 11,45 euro, per un totale di 87,33 euro.
L’individuazione di rette di ricovero differenziate, in relazione alle dimensioni delle singole strutture, altera il principio di eguaglianza tra le varie strutture.
Infatti, nel caso di utenti chiamati a contribuire, in tutto o in parte, al pagamento della quota “alberghiera”, in dipendenza della loro situazione reddituale, la loro scelta finirebbe con l’essere condizionata dall’importo della retta a loro carico, maggiore o minore a seconda delle dimensioni della R.S.A. ospitante.
Tale effetto distorsivo, che penalizza palesemente le strutture più piccole, può essere eliminato soltanto grazie all’introduzione di una tariffa unica.
Pertanto va disposto l’annullamento del D.A. n. 1545 del 7 agosto 2002, nelle parti in cui ha introdotto rette di ricovero differenziate, anziché una retta unica per tutte le tipologie di strutture (come peraltro è stato fatto in via provvisoria con D.A. 17 dicembre 2004, emanato in esecuzione dell’ordinanza cautelare di questo Tar – Sezione Seconda n. 666 del 16 aprile 2003).
Per le stesse ragioni, il D.A. n. 172 del 18 febbraio 2003, con il quale sono state determinate le rette di ricovero per i moduli da n. 20 posti letto, va annullato per intero.
Sub C – Come risulta dalla relazione n. 12 dip. 1828 del 19 luglio 2001, menzionata nella premesse del D.A. 7 agosto 2002, n. 1545 e depositata in giudizio in esecuzione dell’O.C.I. 4 febbraio 2003 n. 40, l’Assessore regionale alla Sanità ha adottato le proprie determinazioni al termine di un’attività istruttoria adeguatamente approfondita, dando contezza dell’iter logico seguito, per cui non sussiste il denunciato vizio di difetto di motivazione e di istruttoria.
10) Con la III^ censura le parti ricorrenti deducono i seguenti vizi:
Eccesso di potere per illogicità. Difetto di motivazione. Violazione art. 97 Cost. Violazione dell’art. 15 della L.R. 18 aprile 1981 n. 68 e dei principi di efficienza e buon andamento. Inammissibile aleatorietà. Alterazione del necessario ed equilibrato sinallagma contrattuale tra le contrapposte prestazioni.
Si sostiene che le singole R.S.A. avrebbero dei costi fissi imposti dagli “standard” strutturali e di personale, fissati dal D.P.R.S. 25 ottobre 1999, dimensionati in relazione all’occupazione di tutti i posti letto, e che tali costi fissi non sarebbero dotati di alcuna flessibilità, per espressa previsione amministrativa.
Lo stesso importo della retta nascerebbe dal riconoscimento della necessità di coprire i costi fissi del personale e gli altri costi fissi (riscaldamento, elettricità, pulizia, biancheria, vitto ed alloggio, ammortamenti, etc).
Orbene, le singole strutture non avrebbero alcuna facoltà di ridurre il personale, né di ridurre le ore lavorative del personale medesimo, in presenza di un numero inferiore di pazienti rispetto a quello individuato dagli “standard” di cui si è detto, né di sopperire in alcun modo alla mancanza di pazienti, essendo vincolate a ricevere solo ed esclusivamente quelli inviati dal servizio sanitario.
Conseguentemente il D.A. 7 agosto 2002 n. 1545 avrebbe dovuto garantire il diritto a percepire una retta fissata per ciascun posto letto, anche nel caso in cui esso non venga in concreto occupato, donde l’illegittimità dell’art. 3, che prescrive il pagamento dell’importo della retta pro – capite, per ogni giorno di effettiva degenza.
Per il Tribunale il motivo di gravame in esame dev’essere rigettato.
In effetti, il D.P.R.S. 25 ottobre 1999, all’Allegato n. 1, ha stabilito per le R.S.A. degli standard minimi di personale (commisurati a moduli con n. 40 posti letto), precisando tuttavia quanto appresso:
“Nelle ore non coperte dalla presenza ordinaria del/i medico/i dovrà essere prevista la reperibilità. Va assicurata sempre la presenza nell’arco delle 24 ore di un infermiere professionale e di un addetto all’assistenza. Qualora il calcolo dello standard del personale riferito alle figure di infermieri professionali e addetto all’assistenza dia un numero decimale, esso va arrotondato al numero intero superiore. Per le altre figure professionali potranno essere nella fattispecie sopraindicate stipulati contratti di collaborazioni libero professionale per un numero di ore non inferiore alle 12 ore settimanali assumendo quale numero intero un impegno di 36 ore settimanali. I servizi generali di pulizia, cucina, lavanderia e manutenzione potranno essere appaltati all’esterno. Personale a consulenza: saranno previsti, in relazione alla tipologia degli assistiti, rapporti di consulenza con medici specialisti, psicologi, podologo, barbiere e/o parrucchiere o qualunque altra figura professionale necessaria al buon andamento della residenza”.
In tal modo sono stati consentiti l’esternalizzazione dei servizi ed il ricorso a contratti di collaborazione libero – professionale, con conseguente possibilità di variare le prestazioni, in relazione ai diversi carichi di lavoro, e pertanto di ridurre i costi per il personale in misura significativa.
L’applicazione della disposizione di cui sopra è espressamente contemplata dalle singole convenzioni (Cfr. produzione dell’A.U.S.L. n. 3 del 16 gennaio 2007), le quali, all’art. 5, dopo aver prescritto che il personale delle singole R.S.A. dev’essere assunto “con rapporto di lavoro subordinato”, fanno espressamente salvo “quanto di diverso stabilito dal D.P.R.S. 25/10/99”.
Va evidenziato altresì che la mancata previsione di una retta di degenza giornaliera fissa, a prescindere dal numero dei ricoverati, premia le strutture che riescono a contenere i costi e costituisce un fattore di flessibilità e di concorrenza in un sistema tutto sommato rigido.
Né, per supportare la tesi dei ricorrenti, può essere considerato significativo il fatto che alle R.S.A. possono accedere soltanto i pazienti inviati dal Servizio sanitario nazionale, e non anche i privati.
Va evidenziato, a tal proposito, che gli assistiti che accedono alle singole R.S.A. lo fanno per loro libera scelta, limitandosi l’A.U.S.L. a verificare l’esistenza di patologie che giustificano il ricovero.
Ovviamente, l’utenza è indotta a scegliere le R.S.A. che offrono migliori prestazioni, evitando le R.S.A. inefficienti; ma tale comportamento dell’utenza stimola le R.S.A. a garantire un livello elevato dei servizi, perché solo in questo modo esse possono avere tutti i posti letto occupati.
Tale effetto “virtuoso”, discendente dalle leggi di mercato, sicuramente non si verificherebbe, ove fosse garantito il pagamento delle rette per tutti i posti – letto prescindendo dalla loro effettiva occupazione, perché in tal caso verrebbe meno qualsiasi stimolo a fare meglio, con conseguente appiattimento degli standard di assistenza verso il basso.
I ricorrenti, a sostegno delle loro pretese, richiamano poi il D.P.R.S. 4 giugno 1996 n. 158, con cui è stato approvato lo schema di convenzione per la gestione delle comunità alloggio per disabili psichici, il quale prevede un compenso fisso mensile per ogni posto, ancorché non occupato.
Sennonché, a prescindere da ogni considerazione in ordine alla specialità della normativa invocata, osta all’accoglimento della loro tesi l’art. 8 sexies, comma 1, del Decreto Leg.vo 30 dicembre 1992 n. 502 (introdotto dall’art. 8, comma 4, del decreto Leg.vo 19 giugno 1999, n. 229, e quindi successivo al D.P.R.S. 4 giugno 1996 n. 158), in base al quale “Le strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell’ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento”.
La norma da ultimo riportata esclude in modo tassativo che possano essere corrisposte delle somme per prestazioni non rese.
11) Tenuto conto delle considerazioni che precedono, il ricorso in esame dev’essere accolto nei limiti di cui sopra e va conseguentemente disposto:
– l’annullamento del D.A. 7 agosto 2002, n. 1545, nella parte in cui non è stato previsto l’intervento “ab origine” delle Amministrazioni comunali, tenute all’accertamento ed alla valutazione delle condizioni economiche dei soggetti richiedenti l’accesso ai servizi ed alle prestazioni sociali agevolate, e non è stato fatto obbligo all’Amministrazione sanitaria di informare immediatamente del ricovero i Comuni di residenza degli assistiti;
– l’annullamento dello stesso D.A. 7 agosto 2002, n. 1545, nella parte in cui è stato assegnato alle R.S.A. anziché alle A.U.S.L. l’onere di riscuotere le quote di retta dovute dai soggetti assistiti;
– l’annullamento del D.A. 7 agosto 2002, n. 1545, nelle parti in cui sono state introdotte rette di ricovero differenziate, anziché una retta unica per tutte le tipologie di strutture;
– l’annullamento integrale del D.A. 18 febbraio 2003, impugnato con ricorso per motivi aggiunti.
Attesa la complessità e la novità delle questioni trattate, sussistono giuste ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo per la Sicilia, Sezione Staccata di Catania, Sezione Quarta, accoglie in parte il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il D.A. 7 agosto 2002, n. 1545, nei modi e nei limiti di cui in motivazione, ed il D.A. 18 febbraio 2003, quest’ultimo nella sua interezza.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Catania, nelle Camere di consiglio del 6 giugno 2007 e del 12 ottobre 2007.
L’Estensore Il Presidente
(Dott. Ettore Leotta) (Dott. Biagio Campanella)
Depositata in Segreteria il 26 ottobre 2007
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